sabato 27 settembre 2008

ARCHIVIO VI: (ricerca) GLI ENIGMI DELLA FORMA



giovedì, luglio 10, 2008




miniricerca sul rapporto tra matematica e mondo dell'arte e dello spettacolo:

GLI ENIGMI DELLA FORMA



1 - INTRODUZIONE

L'intenzione di chi scrive è fornire una breve trattazione sul rapporto che intercorre tra matematica e mondo dell'arte affrontando il problema da una prospettiva alternativa rispetto alle particolarmente diffuse analisi di specifiche interrelazioni tra i due mondi, quali gli studi sugli aspetti tecnico-teorici della produzione artistica (si pensi alla metrica o alla prospettiva), o le analisi delle leggi fisiche e chimiche a cui sottostanno gli strumenti operativi dell'arte (quali lo studio del suono o la statica nell'architettura).
Certo, specifiche problematiche quantitative sono inscindibili da una trattazione che abbia tale oggetto e tali fini, tuttavia è mia intenzione introdurre - seppur per sommi capi - a studi capaci una volta messi in relazione di comporre un mosaico tale da rappresentare la questione nel suo insieme, e di caricarla di significati ulteriori. È mia intenzione occuparmi di filosofia, nello specifico di estetica – ma in una particolare accezione – in un percorso che vedrà l'arte non solo come il dominio della bellezza (in senso stretto, ampio o traslato che sia), ma come uno strumento per la comprensione del mondo e dell'Essere, accompagnato da una teoria estetica intrisa di scienze positive. Al culmine di questo percorso, sulla stesso strumento matematico sarà gettata nuova luce ed apparirà, esso stesso, Arte.



2 - MECCANICISMO E FINALISMO

Punto di riferimento e vera e propria guida in questo percorso è "Gli enigmi della forma: Un'indagine morfologica tra biologia ed estetica a partire dal pensiero di D'Arcy W. Thompson" (da cui prende il nome questo mio scritto), ad opera di Maddalena Mazzocut-Mis, docente di estetica all'Università Statale di Milano e autrice di diverse pubblicazioni di notevole rilevanza didattica e teorica. E' anche (ma non solo) grazie a quest'opera che le ricerche sulle forme animali di D'Arcy Thompson, biologo e matematico vissuto a cavallo tra il XIX ed il XX secolo che rischia di venir ricordato superficialmente come uno dei tanti "sconfitti" dal darwinismo, possono brillare di una luce nuova che ne metta in evidenza la portata gnoseologica e metodologica.
La prima preoccupazione dell'autrice è quella di inserire D'Arcy Thompson nell'ambito del dibattito filosofico (in senso stretto ovviamente), andando a ricercare nei "classici" della filosofia i suoi paradigmi concettuali di riferimento, e mettendo in evidenza le premesse teoriche che caratterizzano il dibattito con i personaggi a lui più vicini, siano essi studiosi di scienze naturali o meno.
Non è il caso qui di indugiare eccessivamente su questa problematica, tuttavia è opportuno, almeno in questa fase, fornire un breve quadro introduttivo.
Il nocciolo della questione è il perché i viventi abbiano determinate forme, ed il punto di partenza a cui si fa riferimento è il meccanicismo di Newton (1642-1727), che, tra l'altro, aveva un antecedente paradigmatico in Descartes (1596-1650).
A questa concezione si opporrà Leibniz (1646-1716), sostenitore di un finalismo immanente all'universo che argomenterà in larga parte con riflessioni sul fatto che un sistema causale non può render conto dell' "infinita" varietà delle forme viventi, laddove invece facendo ricorso alle cause finali, leggendo i viventi come prodotti della saggezza di Dio, la loro forma assume significato1.
Sulla questione prenderà posizione anche Kant (1724-1804) per il quale ne il meccanicismo ne il finalismo sono in grado di dare risposte definitive al problema della forma di un prodotto organico. Il meccanicismo, di cui pure la ragione ha bisogno per mostrare le relazioni causa-effetto della natura, non gli appare soddisfacente, in parte per motivi analoghi a Leibniz legati alla varietà delle forme (che, sostiene, se osservate con i soli occhi dell'intelletto appaiono del tutto contingenti). D'altra parte, se questa viene osservata in prospettiva teleologica (cosa che per Kant è generalmente da escludersi dal momento che nel suo sistema di pensiero farebbe parte di un dominio della realtà all'uomo incomprensibile) sembra rivelare un suo significato che rende opportuno rapportarsi all'organismo vivente "come se" fosse prodotto finalisticamente, anche se la cosa riguarda l'inclinazione della ragione a cercarvi un fine e non l'effettiva presenza di questo che rimane insondabile.
Senza voler affermare che i morfologi dei secoli successivi abbiano sviluppato teorie kantiane o leibniziane, è tutt'altro che azzardato affermare che le loro conclusioni sono strettamente connesse alla loro presa di posizione sul dibattito in questione, ovvero alla scelta tra meccanicismo e finalismo. Così per esempio Cuvier (1769-1832) studierà la struttura degli organismi a partire dall'indagine sul funzionamento degli stessi, mentre Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844) elaborerà in ottica meccanicistica la teoria di un piano unico di organizzazione, uguale per i viventi e per il mondo inanimato, non identificabile come un archetipo o un' "idea platonica", ma come una struttura di fatto esistente costituita da materiali e leggi costanti.
E' in questo contesto che Mazzocut-Mis inserisce D'Arcy Thompson, ed è alla luce di questo che bisogna leggere il suo rifiuto del darwinismo e dunque l'avvio di un percorso originale.



3 – D'ARCY WENTWORTH THOMPSON

D'Arcy Thompson2, nato nel 1860, docente di biologia ed appassionato di letteratura greca (con sommo piacere di chi si trova a leggere il suo materiale, ben lontano dal grigiore stilistico di molte pubblicazioni scientifiche) membro della Royal Society3, pubblicherà nel 1917 "La crescita della forma", con il quale proporrà una prospettiva estremamente significativa nell'ambito morfologico.
Caratteristica non assurda eppur non troppo frequente del suo approccio è il condurre studi che non si inseriscono sulla scia di quelli precedenti, studi che rifiutano l'idea di iperspecializzazione e sapere cumulativo nella scienza. D'Arcy Thompson riparte da capo. Riparte innanzitutto da Leonardo Da Vinci, il quale affermava che "nessuna humana investigazione si può dimandare vera scienza s'essa non passa per la matematica dimostrazione"4; si inserisce dunque con fermezza nel dibattito tra vitalismo e meccanicismo, prendendo posizione a favore di quest'ultimo.
I risultati dei suoi studi e delle sue intuizioni sono demandati a "Crescita e forma"5, opera pubblicata nel 1917 che non ha mancato di far discutere il mondo accademico, nella quale il rifiuto del finalismo non solo è chiaramente esplicitato, ma viene presentato come una premessa necessaria per le sue intuizioni.
Egli accusa qualunque ricorso a cause finali di deviare da quello che è il ruolo di una scienza, quale dev'essere la morfologia; questo non significa che non abbia presente il carattere estremamente problematico del problema, anzi, egli per primo si preoccupa di chiarire i limiti delle sue ricerche.
Tanto per cominciare il suo campo di indagine sono le forme ed il loro operare: definisce l'anima, la coscienza, e persino i sentimenti che possono trasparire dai volti delle persone come questioni che esulano dalle sue ricerche, le quali si rivolgono invece alle modalità in base alle quali un corpo si accresce e lavora.
In secondo luogo, riconosce comunque delle difficoltà empiriche di applicazione del suo metodo a determinate forme. Sotto questo profilo però non si considera comunque vulnerabile, e questo perché a suo avviso "cedere al finalismo" per questi motivi contrasta con il significato stesso della ricerca scientifica. Non esclude che il suo possa essere un binario morto o poco proficuo, benché non lo creda affatto, tuttavia ritiene che un approccio teleologico rappresenti un arrendersi ad una momentanea incapacità di spiegare determinati fenomeni facendo ricorso a modelli privi di significato in quanto indimostrabili per definizione.
A questo modo di operare D'Arcy Thompson contrappone una sospensione del giudizio che possa costituire un terreno fertile per rigorose ricerche basate sulle leggi esatte della fisica.



4 – D'ARCY THOMPSON E DARWIN

I termini della sua contrapposizione al darwinismo potrebbero non essere chiari, e personalmente ritengo che questa sia una parentesi interessante ed importante da aprire: come mai, oltre cinquant'anni dopo la pubblicazione di "L'origine della specie", questo biologo irlandese prende tutt'altre strade? Le risposte in larga parte sono scritte a chiare lettere tra le pagine di "Crescita e forma": D'Arcy Thompson è completamente conscio dell'autorevolezza e del successo che hanno assunto le teorie evoluzioniste e della necessità di "giustificare" un percorso diverso.
La chiave di tutto si dimostra essere, come accennato, il rifiuto di qualsiasi teleologia. Ovviamente la questione qui è abbastanza sottile, d'altronde l'associazione tra darwinismo e finalismo non è immediata, ed è forse su questo punto cruciale che si è giocata la "sconfitta" di D'arcy Thompson.
Si tratta di un' "accusa" tutt'altro che grossolana, e basata su una visione dell'evoluzionismo assolutamente legittima per i tempi, in cui su determinate questioni non mancava una certa ambiguità.
L'idea di D'Arcy Thompson è semplice: la selezione naturale porta al miglioramento della specie, ed un miglioramento continuo caratterizza un mondo in continuo progresso, che si perfeziona di continuo, che tende alla perfezione.
Appare abbastanza evidente come l'evoluzionismo, così definito, richiami la concezione Leibniziana del "migliore dei mondi possibili", e non sorprende quindi che sia stato associato al finalismo, benché un fine esplicito non esista. Così D'Arcy Thompson dipinge il darwinismo: "Teleolologia senza télos [...] un adattamento senza un disegno, una teleologia in cui la causa finale, se ancora esiste, diviene poco più che la mera espressione, o risultato, di una cernita del buono dal cattivo, o del meglio dal peggio"6.
Un esempio meglio di ogni altra cosa può aiutare a capire la natura del contrasto e introdurre all'approccio fisico-matematico alla morfologia. Le cellette degli alveari presentano una geometria perfetta: si tratta di dodecaedri romboidali, ovvero la forma più adatta ad occupare tutto lo spazio disponibile. Questo esempio di perfezione nell'opera animale non ha mancato di suscitare interesse nei filosofi della natura di diverse epoche. Tra le varie spiegazioni vi è quella presentata da Darwin ne "L'origine della specie": "ritengo che l'ape domestica abbia acquisito le sue inimitabili capacità d'architetto per selezione naturale, in virtù di simili modificazioni di istinti, che in se stessi non sono più straordinari dell'istinto che guida l'uccello a costruirsi il nido"7.
Queste conclusioni nell'opera che andiamo ad analizzare sono considerate un esempio di ingenuo antropomorfismo, a cui contrappone il meccanismo automatico delle forze fisiche, e lo fa recuperando lo sperimento con i piselli eseguito da Buffon (1707-1788)8 e riportato nella sua Histoire Naturelle: un vaso riempito di piselli in cui si versi dell'acqua sino a colmare gli interstizi - se chiuso ermeticamente e messo a bollire – vedrà la trasformazione di tutti i piselli in prismi a sei facce. E' esattamente il tipo di soluzione che D'Arcy Thompson propone per il problema delle cellette degli alveari, le quali assumerebbero la loro forma per semplici questioni di ottimizzazione dello spazio da parte della materia sotto pressione.
Al di la della specifica questione, appare oggi evidente che sia venuto meno il punto di partenza della critica Thompsoniana, ovvero la teoria del miglioramento implicito nell'evoluzionismo. Questa verità era già disponibile sin dall'origine del darwinismo, ma è stata necessaria una specifica riflessione per eliminare ogni dubbio. Lo stesso termine "evoluzione" è ambiguo, ed il suo utilizzo come sinonimo di adattamento è fuorviante. L'adattamento porta semplicemente ad una dinamica modificazione dei viventi in relazione ad un ambiente a sua volta mutevole, sovente modificato in maniere che risultano negative per la sopravvivenza delle stesse specie che determinati cambiamenti li hanno causati. Particolarmente interessante in proposito è "Gli alberi non crescono fino in cielo" di Stephen Jay Gould, geologo, zoologo e paleontologo della seconda metà del '900, reso celebre dalla sua intensa attività divulgativa, e che tra l'altro si è occupato molto degli studi di D'Arcy Thompson9. Quest'opera, volta a criticare le diffuse concezioni "antropocentriche" di matrice aristotelica secondo le quali l'uomo si trova all'apice di una scala evolutiva (in senso stretto) mostra con chiarezza, e da prospettiva evoluzionista, che non c'è nessuna evidenza scientifica di un "télos" nell'organizzazione dei viventi. Passando per la definizione dell'uomo (ed in generale delle forme di vita complesse) come prodotto statistico non marginale, e l'elezione dei batteri a "viventi meglio adattati", l'autore si sofferma tra l'altro su processi di passaggio da forme di vita più complesse a forme di vita più semplici, primitive e meno autonome, per fini di adattamento. Si tratta di una riproposizione del darwinismo totalmente spogliata del rischio di fraintendimenti finalisti, che toglie in parte il terreno sotto i piedi a D'Arcy Thompson, senza per questo però privare di rilevanza ed utilità il suo approccio ed i suoi studi.



5 – CRESCITA E FORMA

Non resta ora che entrare nel vivo dell'opera di D'Arcy Thompson e mostrare l'effettiva applicazione del suo metodo operativo, introducendo il tutto con i suoi studi sulla grandezza che hanno grande valenza esemplificativa.

Lo stesso Archimede osserva che se due figure sono simili la superficie cresce in proporzione quadratica rispetto alle dimensioni lineari, mentre il volume in proporzione cubica. Se si prende dunque ad esempio una sfera, ricordando che:
e che:
se ne deduce che:

ovvero che all'aumentare del raggio aumenta il rapporto tra volume e superficie.
Posta questa premessa consegue che, a parità di altre caratteristiche, più un animale è grosso meno è influenzato (rispetto ad uno più piccolo) dalle forze che agiscono sulla superficie. Al contrario invece è maggiormente influenzato dalle forze che agiscono sul volume, tra cui la forza di gravità.
Questo tipo di ragionamento si inserisce perfettamente in discussioni che riguardano le forme dei viventi, tra cui le dimensioni generalmente piccole degli animali che possono camminare sulle pareti o, ad esempio, la forma "tozza" di animali di grandi dimensioni tra cui gli elefanti. Si tratta dunque di una questione di efficienza dei corpi dei viventi soggetti alle forze fisiche che agiscono su di loro.
Ridefinito in questo modo il problema della grandezza D'Arcy Thompson concepisce dunque l'idea di scale di grandezza non relative ma assolute, in base a principi di efficienza meccanica. Queste scale definiscono anche dei limiti massimi e minimi nelle dimensioni, al di fuori dei quali, eventualmente, si parlerebbe per l'autore di "mostruosità"; si prenda ad esempio l'albero: questo non deve mai superare in altezza il suo momento flettente, ovvero l'altezza alla quale il suo fusto comincerebbe a ripiegarsi su se stesso.

Sino ad ora si è parlato di forma in termini molto generali, tuttavia D'Arcy Thompson entra molto più nel dettaglio, analizzando le forme degli organismi in base alle forze agenti relative non solo alle condizioni esterne, ma anche alle strutture interne. L'analisi qui parte dalla conformazione di numerosi microrganismi, la cui forma viene attribuita alla tensione superficiale, dovuta forze che sorgono dall'azione di una molecola su un'altra molecola. Egli nota che sono molto diffuse tra i microrganismi forme quali sfere, cilindri, onduloidi e nodoidi10. Si tratta a suo avviso tutt'altro che di un caso: sono forme che riducono all'area minima la superficie, dunque coerenti con quella che D'Arcy Thompson chiama equazione di equilibrio, in base alla quale una lamina liquida in equilibrio assume la forma che le permette di avere la superficie minima rispetto alle condizioni a cui è soggetta (ovvero, oltre ad un eventuale margine perimetrale, la pressione esercitata dall'esterno sulla lamina, nonché dalla lamina stessa ma diretta all'interno, perpendicolare alla superficie).

Estrema importanza ha anche lo studio dei limiti dell'equilibrio con le sue conseguenze; le forme viventi vengono paragonate ai vetri soffiati di Murano, in cui l'arte del soffiatore attraverso pressioni costanti ed uniformi esercitate su una parete plastica chiusa plasma la materia. Bisogna ricordare in proposito che, ad eccezione della sfera e del piano, le altre superfici sono in equilibrio solo entro certi limiti dimensionali.
Si pensi al cilindro che, eventualmente, si può costituire stendendo una bolla tra due anelli: questo può essere lungo sino a tre volte il suo diametro, mentre se gli anelli vengono allontanati di più, la forma comincia ad alterarsi. Si restringe nel mezzo, passando alla forma onduloide, e la deformazione aumenta sino a che il cilindro si spezza in due, andando a formare due porzioni di sfera.
Il limite teorico di stabilità si ha quando il cilindro è lungo quanto la sua circonferenza, o quando il rapporto della lunghezza con il diametro è rappresentato da π; all'atto pratico d'altra parte però fattori quali la viscosità e l'inerzia giocano ruoli fondamentali, come dimostra ad esempio la ragnatela, il cui filo è particolarmente viscoso e si indurisce con rapidità senza frammentarsi. Un'altra ghiandola dei ragni però produce un liquido più fluido che viene depositato sui fili più bassi e trasversali. Questo bagna il filamento distribuendosi su di esso come una lamina uniforme, un cilindro liquido che come tale ha i suoi limiti di stabilità e tende pertanto ad interrompersi in punti distanti tra loro secondo il procedimento usuale, lasciando una catena di gocce sferiche a intervalli regolari lungo il filo.
Altro esempio convincente di questo fenomeno è lo "splash" generato da un oggetto lanciato nell'acqua, fenomeno in cui si può osservare dapprima la formazione di un cratere, dal quale subito si solleva una coppa laminare d'acqua il cui bordo tende a manifestare alternativamente dei solchi e delle sporgenze; i lobi che si proiettano al di fuori di esse tendono poi a rompersi in una serie di goccioline.
Molti organismi microscopici a forma di coppa, quali gli Idroidi o le Vorticelle, presentano una formazione simile alla fase iniziale dello "splash", e per D'Arcy Thompson è nelle leggi fisiche che regolano questa dinamica che si deve ricercare la loro genesi, così come - altro esempio – la forma ed i filamenti delle meduse vengono assimilati all'inchiostro che cade nell'acqua.
Un esempio più dettagliato è fornito dallo scheletro dei radiolari, spiegato mediante la tensione superficiale e le forze di assorbimento. La base di riferimento sono gli studi di Plateau, secondo il quale un sistema di bolle di sapone (o di lamine) attaccate ad un supporto di fil di ferro, è costituito da superfici piane o curve che si intersecano secondo linee di curvatura regolare, che si possono incontrare in due modi: o tre superfici che si incontrano lungo una linea (dando luogo ad angoli di 120°), o sei superfici che danno luogo a quattro curve, che si incontrano in un vertice (dando luogo ad angoli di 109°28'). D'Arcy Thompson osserva quindi che la forma degli scheletri di alcuni radiolari assomiglia alla geometria delle lamine di sapone, e nota che il loro corpo è costituito da una massa di protoplasma schiumoso, composto da strutture a forma di bolle (alveoli) riempite di un fluido la cui composizione non è molto diversa da quella dell'acqua di mare.

I vacuoli possono presentarsi più o meno isolati e sferici, oppure possono essere uniti insieme in una schiuma di cellule poliedriche; in questo ultimo caso tendono ad avere dimensioni uguali ed il reticolo poligonale risultante è regolare. Le forme dei radiolari dunque vengono ricondotte alle forze di tensione superficiale appena viste in proposito dei vacuoli, in base all'ipotesi che il fluido contenuto nella schiuma si accumuli prevalentemente nei punti di intersezione delle superfici formando un intricato scheletro prodotto dalla precipitazione della silice che segue le regole di minimizzazione dell'area e le cui pareti dunque si incontrano seguendo le regole di Plateau, che avevamo già visto all'opera nel contesto delle cellette delle api.

In realtà questo sistema così descritto può riempire senza lasciare alcun vuoto una superficie piana, ma non costituire un volume. In effetti lo scheletro ipotizzato da D'Arcy Thompson non esiste in natura: non tutte le figure sono esagoni regolari. La cosa non sconcerta comunque l'autore della teoria, che guarda fiducioso alla difficoltà di una descrizione completa interpretandola semplicemente come un mistero stimolante per la mente scientifica.

Effettivamente, se questo procedere per analogie è certo affascinante, e D'Arcy Thompson porta avanti questo percorso con grande varietà di esempi e minuzia di dettagli, tuttavia mancano determinazioni di rilevanza conclusiva. Non supera mai la descrizione di questo "mondo senza tempo"11, in cui dimensione evolutiva e fisiologica sembrano sospese. Manca è una qualche sorta di "prova", una spiegazione ulteriore. L'analogia d'altronde è qui utilizzata con valenza euristica, e sotto questo profilo non è necessario verificare se sia vera o falsa.



6 – L'AVVENIRE DELL'ESTETICA

Conclusa questa sintesi del pensiero di D'Arcy Thompson ed analizzato per sommi capi il suo metodo operativo, è il caso ora di introdurre le teorie estetiche di riferimento, da cui poi si potranno trarre le debite conclusioni.

Il riferimento questa volta è Étienne Souriau12, filosofo e punto di riferimento della scuola estetica francese.
Nato a Lille nel 1892 (e morto a parigi nel 1979), dopo gli studi alla Normale di Parigi, si è laureato in lettere nel 1925. Direttore della "Revue d'esthétique", ha pubblicato diverse opere sul tema. Tra queste la più importante è "L'avvenire dell'estetica"13, in cui per la prima volta il suo pensiero è espresso in modo compiuto.
La riflessione di Souriau14 è, prima ancora che estetica, filosofica, poiché prende le mosse non dall'arte, ma dalla ricerca di una verità, la verità dell'Essere. Anch'egli, come D'Arcy Thompson, si presenta come pensatore "inattuale": il suo vocabolario è tratto direttamente dai classici e non fa alcun riferimento al dibattito a lui contemporaneo, nel quale anche successivamente si rifiuterà di introdursi. Tuttavia la sua ricerca non sarà priva di conseguenze sulla fenomenologia francese.
Nella sua opera il pensiero è visto come un cominciamento assoluto che pone la realtà e l'uomo; al "cogito ergo sum" contrappone un "pensiero pensante", che è a monte della realtà e che la pone in essere. L'uomo è dunque al servizio del pensiero, che è a sua volta al servizio dell'Essere, il quale si manifesta, "semplicemente", nella forma concreta che la realtà manifesta.
Si tratta dunque di un pensiero "terrestre", ben diverso dalle essenze platoniche. È nel mondo sensibile che si trovano le forme, ed il pensiero è un mediatore tra queste e la materia che le compone; solo nel mondo sensibile si ha la pienezza dell'Essere. Non è dunque l'io che genera i pensieri singolari, ma sono questi che lo generano, lo alimentano e lo modificano. Il fenomeno dunque altro non è che l'essere che manifesta la sua presenza spirituale ed incita il mondo a creargli un mondo di esistenza o riflettere questa presenza.
Si distinguono dunque un'esistenza attuale e data, ed un'esistenza instaurata, in qualche modo "inventata". Il primo livello di esistenza, detto aseità, è spiegabile con l'istanza eleatica "l'essere è". Il secondo grado, "plurimodale", deve necessariamente riferirsi al primo, che a sua volta però ha bisogno di questo per realizzarsi in piena esistenza terrestre.
Tutte le forme hanno la caratteristica di essere obiettive, ovvero di rappresentare un permanere, un punto fermo sempre ritrovabile nel processo del divenire. Tuttavia queste forme obiettive ("stilizzate") che rappresentano il pensiero puro della ragione trovano la loro necessaria mediazione andando a costituirsi nella materialità, caratterizzandosi per una specificità sostanziale.

Questo processo instaurativo porta a compimento il senso del mondo, ed è al suo interno che si inserisce la riflessione sull'opera d'arte.
Risulta evidente dunque che per Souriau l'arte dev'essere studiata come risultato di un processo di "fabbricazione", e come tale non dev'essere qualificata in base all'idea di "Bello", che, deve si vivificare la ricerca estetica, ma non può esserne l'oggetto.

L'instaurazione è il procedimento che mira alla promozione di un'opera (o, in generale, di una forma), che esiste con una propria realtà indipendente da chi la instaura. E' un procedimento attraverso il quale l'uomo crea (o quantomeno scopre ed attualizza) certi morfemi preesistenti, compie ciò che la natura ha abbozzato. Dunque è questo procedimento di instaurazione del pensiero che governa sia l'uomo (e, nello specifico, l'artista), sia di conseguenza il manifestarsi delle opere d'arte stesse; la forma infatti si libera dall'artista come qualcosa di unico ed individuale, a lui indipendente. Molto importante per Souriau è sottolineare appunto che vi è una esistenza "virtuale" della forma, che precede la creazione artistica. L'instaurazione è un passaggio dal reale al concreto, da un opera "da fare" ad un'opera "fatta". L'artista non è demiurgo ispirato ma lavoratore che, nel corso del processo creativo, risponde alle domande che l'opera pone nel suo farsi, viene da essa sfruttato.

Se l'arte segue il processo instaurativo, l'artista è uno soggetto alla cui coscienza la forma si manifesta e reclama un livello di esistenza più piena; l'estetica deve dunque essere conoscenza scientifica di quelle forme. L'avvenire dell'estetica è infatti tramutarsi in un sostegno teorico del processo instaurativo, capace di studiare la dialettica alla base dei processi e delle categorie fondamentali del mondo dell'arte, di cui deve arrivare a comprendere gli aspetti costruttivi. Il bello non è causa dell'arte, ne è solo un effetto, e, malgrado abbia la sua importanza, fa parte di un "ritorno riflessivo" verso l'opera che non è in grado di definire l'instaurazione. Ogni opera d'arte porta in se anche un valore "affettivo", che costituisce l'oggetto-tema dell'opera, capace di suscitare vari sentimenti; altro è l'oggetto-cosa, la sua logica strutturale che nel suo rivelarsi è al contempo rivelatore dell'Essere di cui è espressione e di cui costituisce il cuore stesso, in quanto esprime una verità che si soddisfa da se, senza richiami o appoggi esterni.

L'estetica è tramutata dunque in una scienza che ha per oggetto le arti ed i loro materiali e come scopo teoretico il loro studio in forme concrete, al di la di ogni preoccupazione o apprezzamento qualitativo di valore. Lo studio scientifico di queste, che costituiscono il "sapere immanente" dell'arte, è diviso per Souriau in quattro parti, che corrispondono a quattro classi ben specificabili: estetica pitagorica, estetica dinamica, estetica skulogica e psicoestetica.
L'estetica pitagorica tratta delle forme ideali, in un certo senso matematiche o geometriche, operanti nei processi di instaurazione artistica; si riferisce in particolare alle loro armonie spaziali.
L'estetica dinamica studia invece le forme nei loro processi di dispiegamento spazio-temporale, quindi le forme successive che si presentano in movimento o in lunghezza di tempo (come nella musica).
L'estetica skeulogica tratta di tutto ciò che una forma è in grado di definire nell'universo concreto, la "forma che hanno le cose".
La psicoestetica è quell'ambito che studia le forme psichiche nella loro varietà tipologica. Quest'ultima classe pone la necessità di specificare, se non fosse parso chiaro, che, manifestandosi l'Essere nella forma, benché l'arte – che si giustifica da sé – sia l'espressione più pura dell'essere, esso si manifesta comunque nella forma "in generale". L'intero operato del pensieri, e quindi dell'uomo, è realizzazione dell'essere. Di conseguenza, cosa empiricamente evidente, l'intero operato dell'uomo concorre alla realizzazione della forma.

La ricerca estetica qui proposta è dunque profondamente interconnessa con la creazione artistica. Vi sono numerosi rapporti concreti tra questi due mondi, a partire dalla stessa presenza della filosofia nell'arte, a conferma del fatto che la filosofia non è isolabile, e che deve quindi,secondo Souriau, sforzarsi di mobilitare, riunire, esprimere tutta la situazione del pensiero in un unico momento in cui sono valide tutte le testimonianze umane. Essa ha una funzione formatrice e attiva, il potere di costruire una prospettiva per il futuro dell'uomo: lo slancio instaurativo avvolge la totalità dell'azione umana; come l'arte, e con l'arte, la filosofia dev'essere instaurativa.
Partendo dalla presa di coscienza del presente di tutta la totalità umana, deve cercare non soltanto l'impatto del nuovo, per il quale basterebbe l'arte, ma deve assumersi la responsabilità di una promozione totale che coordini il momento presente ed il momento futuro secondo una gerarchia.
Mentre l'arte progredisce con il continuo arricchimento della totalità delle opere, la filosofia non può procedere semplicemente in questo modo; essa esige dalla nuova instaurazione l'avanzamento della totalità del creato secondo un ordine non temporale, ma a cui il tempo sottostia, affinché il progresso sia progresso dell'uomo nella sua esistenza reale. La filosofia diventa così l'arte suprema.
Ovviamente questa nozione di arte non coincide con il campo tradizionale delle "belle arti", tuttavia questo approccio non dovrebbe suscitare scandalo. Già prima di lui Hegel aveva associato - seppur in termini completamente diversi - la filosofia all'arte con la sua teoria della "morte dell'arte" nella filosofia che ha esposto nell'Estetica. Inoltre alcune evoluzioni contemporanee hanno allargato a tal punto la nozione di arte che la concezione di Étienne Souriau appare oggi tutt'altro che scandalosa; si pensi a Joseph Kosuth, che con la sua arte concettuale talvolta sembra voler esattamente ribaltare la teoria Hegeliana15, "rimpiazzando" la filosofia con una "riflessione artistica". La sua influenza sull'arte degli ultimi decenni è stata di enorme portata, e d'altronde ha condotto alle estreme conseguenze un percorso che è partito da lontano (quantomeno da certe opere del Dadaismo, che Souriau presumibilmente ha visto nascere) e che ha influenzato profondamente le evoluzioni a lui successive, sino ad alcune espressioni della cosiddetta "arte relazionale"16 che si conciliano meglio con la "nuova estetica" del filosofo francese che con Impressionismo. Le "belle arti" conservano inoltre per Soriau un valore fondamentale, in quando emblema, quasi prova empirica si potrebbe dire, di quell'architettura che lui propone.

Alla luce di quanto detto sin ora si può ben capire come il filosofo veda la nozione di valore come un ostacolo in quanto inscindibile dal suo carattere soggettivo. La sua concezione di filosofia è un'esplicazione dell'Arte pura, definizione delle logiche sottostanti al processo instaurativo (e in quanto tale, la filosofia proposta coincide con l'estetica), si pone al di fuori delle logiche del Bello. Non bisogna comunque commettere l'errore di considerare "L'Avenire dell'estetica" come un testo dal carattere "spiritualista". Non che non sia evidente un approccio simile, ma la "nuova estetica" è la scienza che studia la genesi di forme artistiche concrete, e le studia con un approccio spiccatamente positivista ben lontano dallo studio dell'Assoluto hegeliano.



7 – MORFOLOGIA ED ESTETICA

Esposto il pensiero di Étienne Souriau, così come presentato ne "L'avenir de l'esthétique", appaiono più che palesi i punti di contatto con D'Arcy Thompson, il quale dal canto suo sembra rivelare un vero e proprio ideale estetico, basato su semplicità e bellezza matematica; secondo Gould "è a Pitagora e più tardi al Platone del Timeo che D'Arcy Thompson deve la sua intuizione; poiché egli tentò, come fece Bertrand Russel, di afferrare la forza pitagorica mediante la quale il numero domina sul continuo mutamento. D'Arcy Thompson non accettò né la dottrina di Pitagora, per la quale le cose sono numeri, né l'intuizione di Platone di un regno di numeri ideali esistenti oltre i corpi fisici, che non sono altro che le loro rappresentazioni fugaci e imperfette. Ma egli condivise le loro posizioni generali e cioè che le soluzioni dei misteri del mondo dovrebbero essere cercate nell'aspetto geometrico del numero e che la semplicità, la regolarità, la simmetria, l'armonia e la verità si troverebbero unite" 17.
Un tale supposto ideale estetico è ovviamente quanto di più lontano ci sia da un'estetica intesa come "teoria della sensibilità": l'aspetto qualitativo vine del tutto cancellato in favore del rigore matematico. Laddove però l'estetica viene definita, come abbiamo visto, "scienza delle forme", le cose cambiano. Tale approccio all'estetica si può scomporre in due proposizioni:
"1) Tra tutte le speculazioni proprie della filosofia dell'arte, hanno valore scientifico solo quelle (per quanto possa essere interessante il resto) che riguardano il mero studio positivo della forma;
2) In qualunque ordine di problemi scientifici, ogni speculazione relativa alla forma è di natura estetica"18
La seconda preposizione, così formulata, palesa la rilevanza nell'ambito dell'estetica delle ricerche thompsoniane. Lo stesso Souriau non ha mancato di citare nella sua opera D'Arcy Thompson tra quei biologi che, anticipando le sue riflessioni, hanno sentito l'esigenza di una profonda ricerca sul mondo delle forme.
Se riprendiamo la definizione "operativa" di questa nuova estetica, ci rendiamo conto del fatto che, ad esclusione della psicoestetica, "Gli enigmi della forma" si presenta in questo settore come una ricerca a tutto campo, benché non prenda le mosse da manifestazioni artistiche. D'Altro canto l'estetica secondo Souriau, in quanto sostegno teorico al processo instaurativo, non deve necessariamente prendere le mosse dall'instaurazione artistica, e può svolgere la sua funzione anche prendendo le mosse dalla morfologia animale.
Inserito in questo contesto D'Arcy Thompson appare come il prototipo del nuovo estetologo, "può essere effettivamente ritenuto il fondatore dell'estetica quale nuova scienza, sebbene Souriau non lo riconosca in quanto tale"19. É scritto infatti ne "L'avenir de l'esthétique": "è biologico dire che la stella di mare ha cinque ambulacri, per indicare che essa condivide la presenza dell' "indice" cinque con l'oluturia, classe degli echinodermi dello stesso ceppo, i cui ambulacri sono in fila disposti irregolarmente, tre e due (trivium e bivium). É estetico mostrare, con questo numero, la parentela della sua forma con quella delle figure che si costituiscono prendendo per base il pentagono regolare; o con certi fiori con cinque lunghi petali. Gli accostamenti puramente formali di esseri molto diversi materialmente (cioè mediante le affinità genetiche o le componenti eziologiche) sono uno dei punti di questo ramo dell'estetica."20
Non è forse esattamente quello che fa D'Arcy Thompson nella sua opera? Pochi sono stati convinti come lui della necessità di perseguire questa strada.
In conclusione, si può affermare che Étienne Souriau nobilita D'Arcy Thompson e la sua ricerca sulla forma, totalmente e devotamente basata sul rigore matematico-geometrico, elevandola al livello di ricerca estetica. E, si badi bene, non estetica come indagine del bello, ma estetica come attività instauratrice, identificabile con l'arte stessa. La ricerca matematica diventa arte, arte tra l'altro "suprema".

P.F.




BIBLIOGRAFIA

D'Arcy W. Thompson, Crescita e forma, Bollati Boringhieri, Torino 1992

Maddalena Mazzocut-Mis, Gli enigmi della forma, Ed. Dell'Arco, 1995

Stephen J. Gould, Anche gli alberi non crescono fino in cielo, Mondadori, 1999

http://www.filosofico.net/634yusdfnlcoojerhiui2734kedwqw2343r3rrffsdfdsf.htm

http://en.wikipedia.org/wiki/D'Arcy_Wentworth_Thompson

http://fr.wikipedia.org/wiki/Etienne_Souriau

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