martedì 30 settembre 2008

DADA MESSE BERLIN - JOHANNES BAADER E IL DADAISMO A BERLINO








Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD


Dada-Messe-Berlin


Sono passati oltre novant'anni da quando il seme del dadaismo ha cominciato a disperdersi per il mondo. Corrosivo, provocatore, delirante, noto ai più per il gabinetto capovolto esposto con titolo “fontana” da Marcel Duchamp, è ormai un momento consolidato della storia dell'arte, in particolare per la sua influenza sul dopoguerra che non si limita a pervadere capillarmente l'arte contemporanea ma porta i suoi echi nell'idea stessa di “postmoderno”.

Celebre è l'arte anti-arte, leggendarie sono le folli serate-cabaret del gruppo di Zurigo, giustamente incensate sono le riflessioni visive su uomo e macchina di Duchamp e Picabia. Un po' meno si parla invece del dadaismo tedesco.

Questo gruppo si distingueva per l'impegno politico, generalmente rifiutato nel resto del mondo dada: mentre Picabia scriveva “DADA, non sente nulla, non è nulla, nulla, nulla. E' come le vostre speranze: nulla. E' come i vostri idoli: nulla. E' come i vostri paradisi: nulla. E' come i vostri uomini politici: nulla. E' come i vostri eroi: nulla. E' come i vostri artisti: nulla. E' come le vostre religioni: nulla”, i suoi “colleghi” tedeschi partecipavano delle evoluzioni dello Spartachismo.

Storico è il loro primo raduno, la “Dada messe Berlin” del 1920 - in concomitanza con i primi successi politici di Hitler - messo sotto accusa dalla Reichswehr ("difesa del Reich", sostanzialmente l'esercito) per vilipendio e pornografia. “Al soffitto della sala era sospeso un soldato impagliato grigioverde, con le spalline da ufficiale, una maschera da maiale e il berretto militare” riportano gli atti del processo.

Tra gli imputati vi era Johannes Baader, personaggio ad oggi caduto sostanzialmente nel dimenticatoio (in larga parte per il carattere intrinsecamente effimero della sua arte), a cui vorrei provare a rendere un minimo di giustizia.

In anni in cui la dottrina Nietzschiana del Superuomo - nota ai più nella versione brutale “for dummies” creata da D'Annunzio - godeva di una enorme fortuna, in particolar modo nella destra estrema le cui sorti nella Germania di quegli anni sono tristemente note, Baader decise che quella sarebbe stata la vittima del suo dissacrante dadaismo.

Come opera d'arte decise di usare principalmente se stesso: iniziò a diffondere per Berlino annunci deliranti in cui si proclamava “Der Oberdada” (il super-dada), signore indiscusso dell'universo, del futuro, manovratore del mondo, onnipotente. Ancora oggi davanti ad i suoi scritti assurdi non si riesce a non ridere; ben altro effetto dovevano avere in anni in cui il superomismo tra le persone savie evocava sacri timori.

Baader l'Oberdada” era protagonista (e spesso organizzatore) di tutti gli eventi dada, dalle Dada-messe alle surreali serate in maschera ispirate al cabaret zurighese di Tzara.

Poche cose rendono l'idea del personaggio come la coraggiosa parodia del processo pubblicata nell'ottobre del '21, in cui l'Oberdada viene messo sotto accusa dalla “Corte universale” per “essersi arrogato la presidenza dell'universo”. La difesa di Baader è inattaccabile: “Ho fatto politica da sempre, io e l'universo,poiché siamo affini. Non soltanto sono presidente dell'universo dai tempo della rivoluzione. Sono presidente da sempre e ho predetto la storia del mondo dal parto del sole fino alla costituzione e al risveglio del Club dada [...]La geometria della radice è un triangolo isoscele di cui ho deciso la congruenza. Congruenza è la coincidenza dei due lati sulla stessa base orizzontale, come l'angolo acuto o ottuso nel quale i lati si congiungono e quindi si incontrano”, seguono importanti cenni biografici ricchi di aneddoti tra cui “lo stesso giorno telegrafo a Guglielmo II – Vieni subito! Cartolina postale insufficiente! Il presidente dell'universo” e “Il papa non può modificare la pace di Brest-Litokvks e il 26 settembre 1918, conformemente alla profezia della via lattea, la Bulgaria cede le armi e il maresciallo Foch dirige l'offensiva verso il fronte occidentale. Vengo nominato Oberdada e mi si promette il premio Nobel se Wilson ritira i 14 punti” per chiudere con “Signori giudici! Se voi ora non comprendete ancora che il parallelismo diretto degli avvenimenti diretto dalla radice dell'universo conduce, attraverso al congruenza della direttrice astronomica, dal triangolo della via lattea alla dissonanza dell'aggregazione della Corte universale e alla presidenza dell'universo dell'Oberdada, non c'è modo di aiutarvi e la storia universale vi calpesterà il ventre [...] ed ora io stesso mi assumo l'incarico di assolvermi e mi congedo nella mia qualità di PRESIDENTE DELL'UNIVERSO”.

Non meno assurdo degli altri gruppi Dada dunque, quello di Berlino aveva anche bersagli precisi, aveva un progetto politico, degli obiettivi. Forse non ha toccato i picchi creativi di Zurigo, certo non ha rivoluzionato la storia dell'arte quanto gli americani. Ma non operava nei lontani USA, o in Svizzera, ex “isola felice in mezzo all'Europa che brucia”; il gruppo operava nella Germania stremata e sanguinante del dopoguerra, ed era certamente capace di infiammare quell'ambiente. Forse non aveva modo di essere “il più avanzato”, ma d'altronde, viene il dubbio, la vena nichilista e distruttrice che traspare dalle parole di Picabia è un lusso per pochi. E' un lusso per chi, forse, qualcosa da distruggere ce l'ha ancora.


P.F.

sabato 27 settembre 2008

ARCHIVIO VIII: Conferenza "La periferia ha fatto centro"




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mercoledì, luglio 09, 2008
ARTICOLO: LA PERIFERIA HA FATTO CENTRO
Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD

REPORTAGE: LA PERIFERIA HA FATTO CENTRO


Martedì 27 maggio si è svolta al Barrio's Café, in zona Barona, la serata di ULD intitolata "La periferia ha fatto centro", che ha visto la proiezione di "Samizdat", documentario sul declino di Cologno Monzese creato dai membri di Poliscritture - laboratorio culturale della zona - a cui è seguito un dibattito organizzato che ha visto la partecipazione di Piero Pantucci (direttore di Milanosud), Simone Tosoni (docente di Sociologia dei Processi Culturali della Cattolica), Ennio Abate di Poliscritture e Massimo Verdino (assessore a servizi sociali, sanità, lavoro, politiche della casa del comune di Cologno Monzese). La serata si è poi conclusa all'insegna della musica con le esibizioni di Re Die e The Concrete Trio, due gruppi della zona. Il senso della serata era tutto nel titolo del dibattito: "Il ruolo dell'attività culturale nei processi di riqualificazione e sviluppo delle periferie urbane".

Di conferenze tra le mura della Cattolica ULD ne ha fatte molte, ma questa volta più che di una conferenza si è trattato di una scommessa. Non era nostra intenzione portare un qualche oggetto di discussione all'interno dell'università, ma, al contrario, passare dalla teoria alla prassi, portare l'università nel cuore del problema, e unire la riflessione ad un'ipotesi di soluzione.

Ce l'abbiamo fatta? Difficile a dirsi. Di certo non abbiamo eliminato i problemi delle periferie milanesi, certo non abbiamo risolto quelli della Barona... altrettanto certo è però che abbiamo fatto attività culturale in periferia. Questa è una cosa che ci hanno riconosciuto tutti. Non abbiamo parlato della periferia da un piedistallo, ma lo abbiamo fatto in loco e soprattutto "per" il luogo, dando voce a chi il fenomeno lo studia così come a chi lo vive e ci lavora dentro.

Per la tipologia dell'evento si è trattato di un sicuro successo, con una trentina di persone a seguire il dibattito, perfettamente gestito dalla nostra Francesca, e tutti gli ospiti si sono mostrati estremamente soddisfatti. E' stato un successo anche dal punto di vista finanziario: la Cattolica ha deciso che quest'attività – a differenza... delle gite in montagna di CL! - era troppo "esterna" per essere supportata, ma la grande affluenza (con i conseguenti incassi per il locale) ha reso il problema irrilevante. Infatti se davanti al al tavolo del dibattito c'erano trenta persone, al bar e all'ingresso ce n'erano almeno cinquanta, arrivate poi tutte sotto al palco al momento del concerto. Sotto questo profilo bisogna ringraziare i The Concrete Trio e, soprattutto, i Re Die: riempire un locale in periferia di martedì sera non è una cosa da tutti, e soprattutto di solito quelli che lo possono fare - per quanto dichiarino di considerare meritevole una serata - non accettano di suonare gratis.

Questo successo però implica di per se però il primo fallimento: non si è creata la commistione di pubblico tra concerto e dibattito, se non in minima parte. Il miraggio di vedere due mondi generalmente lontani abbracciarsi è rimasto tale in larghissima parte, bisogna ammetterlo. Certo è comunque che la ricchezza del programma ha contribuito a far percepire la serata come significativa e a attrarre gente in un giorno della settimana "scomodo".

C'è un altro fallimento che bisogna rimarcare: l'università non ha risposto alla chiamata. Tra gli iscritti hanno partecipato solo i membri di ULD e pochi amici. Verrebbe da far polemica, ma...

...per fortuna comunque abbiamo fatto promozione anche nella zona del locale e attraverso altri canali.

Sicuramente ci sono cose su cui dovremo riflettere per la nostra attività futura: ci sono problemi da risolvere, barriere da superare, idee da concepire. Tuttavia mi sento di affermare che questa volta ULD ha fatto veramente centro.

P.F

ARCHIVIO VII: ULD Mostra e Conferenza '68 ("I nostri primi quarant'anni")




repubblica
corriere
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ARCHIVIO VI: (ricerca) GLI ENIGMI DELLA FORMA



giovedì, luglio 10, 2008




miniricerca sul rapporto tra matematica e mondo dell'arte e dello spettacolo:

GLI ENIGMI DELLA FORMA



1 - INTRODUZIONE

L'intenzione di chi scrive è fornire una breve trattazione sul rapporto che intercorre tra matematica e mondo dell'arte affrontando il problema da una prospettiva alternativa rispetto alle particolarmente diffuse analisi di specifiche interrelazioni tra i due mondi, quali gli studi sugli aspetti tecnico-teorici della produzione artistica (si pensi alla metrica o alla prospettiva), o le analisi delle leggi fisiche e chimiche a cui sottostanno gli strumenti operativi dell'arte (quali lo studio del suono o la statica nell'architettura).
Certo, specifiche problematiche quantitative sono inscindibili da una trattazione che abbia tale oggetto e tali fini, tuttavia è mia intenzione introdurre - seppur per sommi capi - a studi capaci una volta messi in relazione di comporre un mosaico tale da rappresentare la questione nel suo insieme, e di caricarla di significati ulteriori. È mia intenzione occuparmi di filosofia, nello specifico di estetica – ma in una particolare accezione – in un percorso che vedrà l'arte non solo come il dominio della bellezza (in senso stretto, ampio o traslato che sia), ma come uno strumento per la comprensione del mondo e dell'Essere, accompagnato da una teoria estetica intrisa di scienze positive. Al culmine di questo percorso, sulla stesso strumento matematico sarà gettata nuova luce ed apparirà, esso stesso, Arte.



2 - MECCANICISMO E FINALISMO

Punto di riferimento e vera e propria guida in questo percorso è "Gli enigmi della forma: Un'indagine morfologica tra biologia ed estetica a partire dal pensiero di D'Arcy W. Thompson" (da cui prende il nome questo mio scritto), ad opera di Maddalena Mazzocut-Mis, docente di estetica all'Università Statale di Milano e autrice di diverse pubblicazioni di notevole rilevanza didattica e teorica. E' anche (ma non solo) grazie a quest'opera che le ricerche sulle forme animali di D'Arcy Thompson, biologo e matematico vissuto a cavallo tra il XIX ed il XX secolo che rischia di venir ricordato superficialmente come uno dei tanti "sconfitti" dal darwinismo, possono brillare di una luce nuova che ne metta in evidenza la portata gnoseologica e metodologica.
La prima preoccupazione dell'autrice è quella di inserire D'Arcy Thompson nell'ambito del dibattito filosofico (in senso stretto ovviamente), andando a ricercare nei "classici" della filosofia i suoi paradigmi concettuali di riferimento, e mettendo in evidenza le premesse teoriche che caratterizzano il dibattito con i personaggi a lui più vicini, siano essi studiosi di scienze naturali o meno.
Non è il caso qui di indugiare eccessivamente su questa problematica, tuttavia è opportuno, almeno in questa fase, fornire un breve quadro introduttivo.
Il nocciolo della questione è il perché i viventi abbiano determinate forme, ed il punto di partenza a cui si fa riferimento è il meccanicismo di Newton (1642-1727), che, tra l'altro, aveva un antecedente paradigmatico in Descartes (1596-1650).
A questa concezione si opporrà Leibniz (1646-1716), sostenitore di un finalismo immanente all'universo che argomenterà in larga parte con riflessioni sul fatto che un sistema causale non può render conto dell' "infinita" varietà delle forme viventi, laddove invece facendo ricorso alle cause finali, leggendo i viventi come prodotti della saggezza di Dio, la loro forma assume significato1.
Sulla questione prenderà posizione anche Kant (1724-1804) per il quale ne il meccanicismo ne il finalismo sono in grado di dare risposte definitive al problema della forma di un prodotto organico. Il meccanicismo, di cui pure la ragione ha bisogno per mostrare le relazioni causa-effetto della natura, non gli appare soddisfacente, in parte per motivi analoghi a Leibniz legati alla varietà delle forme (che, sostiene, se osservate con i soli occhi dell'intelletto appaiono del tutto contingenti). D'altra parte, se questa viene osservata in prospettiva teleologica (cosa che per Kant è generalmente da escludersi dal momento che nel suo sistema di pensiero farebbe parte di un dominio della realtà all'uomo incomprensibile) sembra rivelare un suo significato che rende opportuno rapportarsi all'organismo vivente "come se" fosse prodotto finalisticamente, anche se la cosa riguarda l'inclinazione della ragione a cercarvi un fine e non l'effettiva presenza di questo che rimane insondabile.
Senza voler affermare che i morfologi dei secoli successivi abbiano sviluppato teorie kantiane o leibniziane, è tutt'altro che azzardato affermare che le loro conclusioni sono strettamente connesse alla loro presa di posizione sul dibattito in questione, ovvero alla scelta tra meccanicismo e finalismo. Così per esempio Cuvier (1769-1832) studierà la struttura degli organismi a partire dall'indagine sul funzionamento degli stessi, mentre Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844) elaborerà in ottica meccanicistica la teoria di un piano unico di organizzazione, uguale per i viventi e per il mondo inanimato, non identificabile come un archetipo o un' "idea platonica", ma come una struttura di fatto esistente costituita da materiali e leggi costanti.
E' in questo contesto che Mazzocut-Mis inserisce D'Arcy Thompson, ed è alla luce di questo che bisogna leggere il suo rifiuto del darwinismo e dunque l'avvio di un percorso originale.



3 – D'ARCY WENTWORTH THOMPSON

D'Arcy Thompson2, nato nel 1860, docente di biologia ed appassionato di letteratura greca (con sommo piacere di chi si trova a leggere il suo materiale, ben lontano dal grigiore stilistico di molte pubblicazioni scientifiche) membro della Royal Society3, pubblicherà nel 1917 "La crescita della forma", con il quale proporrà una prospettiva estremamente significativa nell'ambito morfologico.
Caratteristica non assurda eppur non troppo frequente del suo approccio è il condurre studi che non si inseriscono sulla scia di quelli precedenti, studi che rifiutano l'idea di iperspecializzazione e sapere cumulativo nella scienza. D'Arcy Thompson riparte da capo. Riparte innanzitutto da Leonardo Da Vinci, il quale affermava che "nessuna humana investigazione si può dimandare vera scienza s'essa non passa per la matematica dimostrazione"4; si inserisce dunque con fermezza nel dibattito tra vitalismo e meccanicismo, prendendo posizione a favore di quest'ultimo.
I risultati dei suoi studi e delle sue intuizioni sono demandati a "Crescita e forma"5, opera pubblicata nel 1917 che non ha mancato di far discutere il mondo accademico, nella quale il rifiuto del finalismo non solo è chiaramente esplicitato, ma viene presentato come una premessa necessaria per le sue intuizioni.
Egli accusa qualunque ricorso a cause finali di deviare da quello che è il ruolo di una scienza, quale dev'essere la morfologia; questo non significa che non abbia presente il carattere estremamente problematico del problema, anzi, egli per primo si preoccupa di chiarire i limiti delle sue ricerche.
Tanto per cominciare il suo campo di indagine sono le forme ed il loro operare: definisce l'anima, la coscienza, e persino i sentimenti che possono trasparire dai volti delle persone come questioni che esulano dalle sue ricerche, le quali si rivolgono invece alle modalità in base alle quali un corpo si accresce e lavora.
In secondo luogo, riconosce comunque delle difficoltà empiriche di applicazione del suo metodo a determinate forme. Sotto questo profilo però non si considera comunque vulnerabile, e questo perché a suo avviso "cedere al finalismo" per questi motivi contrasta con il significato stesso della ricerca scientifica. Non esclude che il suo possa essere un binario morto o poco proficuo, benché non lo creda affatto, tuttavia ritiene che un approccio teleologico rappresenti un arrendersi ad una momentanea incapacità di spiegare determinati fenomeni facendo ricorso a modelli privi di significato in quanto indimostrabili per definizione.
A questo modo di operare D'Arcy Thompson contrappone una sospensione del giudizio che possa costituire un terreno fertile per rigorose ricerche basate sulle leggi esatte della fisica.



4 – D'ARCY THOMPSON E DARWIN

I termini della sua contrapposizione al darwinismo potrebbero non essere chiari, e personalmente ritengo che questa sia una parentesi interessante ed importante da aprire: come mai, oltre cinquant'anni dopo la pubblicazione di "L'origine della specie", questo biologo irlandese prende tutt'altre strade? Le risposte in larga parte sono scritte a chiare lettere tra le pagine di "Crescita e forma": D'Arcy Thompson è completamente conscio dell'autorevolezza e del successo che hanno assunto le teorie evoluzioniste e della necessità di "giustificare" un percorso diverso.
La chiave di tutto si dimostra essere, come accennato, il rifiuto di qualsiasi teleologia. Ovviamente la questione qui è abbastanza sottile, d'altronde l'associazione tra darwinismo e finalismo non è immediata, ed è forse su questo punto cruciale che si è giocata la "sconfitta" di D'arcy Thompson.
Si tratta di un' "accusa" tutt'altro che grossolana, e basata su una visione dell'evoluzionismo assolutamente legittima per i tempi, in cui su determinate questioni non mancava una certa ambiguità.
L'idea di D'Arcy Thompson è semplice: la selezione naturale porta al miglioramento della specie, ed un miglioramento continuo caratterizza un mondo in continuo progresso, che si perfeziona di continuo, che tende alla perfezione.
Appare abbastanza evidente come l'evoluzionismo, così definito, richiami la concezione Leibniziana del "migliore dei mondi possibili", e non sorprende quindi che sia stato associato al finalismo, benché un fine esplicito non esista. Così D'Arcy Thompson dipinge il darwinismo: "Teleolologia senza télos [...] un adattamento senza un disegno, una teleologia in cui la causa finale, se ancora esiste, diviene poco più che la mera espressione, o risultato, di una cernita del buono dal cattivo, o del meglio dal peggio"6.
Un esempio meglio di ogni altra cosa può aiutare a capire la natura del contrasto e introdurre all'approccio fisico-matematico alla morfologia. Le cellette degli alveari presentano una geometria perfetta: si tratta di dodecaedri romboidali, ovvero la forma più adatta ad occupare tutto lo spazio disponibile. Questo esempio di perfezione nell'opera animale non ha mancato di suscitare interesse nei filosofi della natura di diverse epoche. Tra le varie spiegazioni vi è quella presentata da Darwin ne "L'origine della specie": "ritengo che l'ape domestica abbia acquisito le sue inimitabili capacità d'architetto per selezione naturale, in virtù di simili modificazioni di istinti, che in se stessi non sono più straordinari dell'istinto che guida l'uccello a costruirsi il nido"7.
Queste conclusioni nell'opera che andiamo ad analizzare sono considerate un esempio di ingenuo antropomorfismo, a cui contrappone il meccanismo automatico delle forze fisiche, e lo fa recuperando lo sperimento con i piselli eseguito da Buffon (1707-1788)8 e riportato nella sua Histoire Naturelle: un vaso riempito di piselli in cui si versi dell'acqua sino a colmare gli interstizi - se chiuso ermeticamente e messo a bollire – vedrà la trasformazione di tutti i piselli in prismi a sei facce. E' esattamente il tipo di soluzione che D'Arcy Thompson propone per il problema delle cellette degli alveari, le quali assumerebbero la loro forma per semplici questioni di ottimizzazione dello spazio da parte della materia sotto pressione.
Al di la della specifica questione, appare oggi evidente che sia venuto meno il punto di partenza della critica Thompsoniana, ovvero la teoria del miglioramento implicito nell'evoluzionismo. Questa verità era già disponibile sin dall'origine del darwinismo, ma è stata necessaria una specifica riflessione per eliminare ogni dubbio. Lo stesso termine "evoluzione" è ambiguo, ed il suo utilizzo come sinonimo di adattamento è fuorviante. L'adattamento porta semplicemente ad una dinamica modificazione dei viventi in relazione ad un ambiente a sua volta mutevole, sovente modificato in maniere che risultano negative per la sopravvivenza delle stesse specie che determinati cambiamenti li hanno causati. Particolarmente interessante in proposito è "Gli alberi non crescono fino in cielo" di Stephen Jay Gould, geologo, zoologo e paleontologo della seconda metà del '900, reso celebre dalla sua intensa attività divulgativa, e che tra l'altro si è occupato molto degli studi di D'Arcy Thompson9. Quest'opera, volta a criticare le diffuse concezioni "antropocentriche" di matrice aristotelica secondo le quali l'uomo si trova all'apice di una scala evolutiva (in senso stretto) mostra con chiarezza, e da prospettiva evoluzionista, che non c'è nessuna evidenza scientifica di un "télos" nell'organizzazione dei viventi. Passando per la definizione dell'uomo (ed in generale delle forme di vita complesse) come prodotto statistico non marginale, e l'elezione dei batteri a "viventi meglio adattati", l'autore si sofferma tra l'altro su processi di passaggio da forme di vita più complesse a forme di vita più semplici, primitive e meno autonome, per fini di adattamento. Si tratta di una riproposizione del darwinismo totalmente spogliata del rischio di fraintendimenti finalisti, che toglie in parte il terreno sotto i piedi a D'Arcy Thompson, senza per questo però privare di rilevanza ed utilità il suo approccio ed i suoi studi.



5 – CRESCITA E FORMA

Non resta ora che entrare nel vivo dell'opera di D'Arcy Thompson e mostrare l'effettiva applicazione del suo metodo operativo, introducendo il tutto con i suoi studi sulla grandezza che hanno grande valenza esemplificativa.

Lo stesso Archimede osserva che se due figure sono simili la superficie cresce in proporzione quadratica rispetto alle dimensioni lineari, mentre il volume in proporzione cubica. Se si prende dunque ad esempio una sfera, ricordando che:
e che:
se ne deduce che:

ovvero che all'aumentare del raggio aumenta il rapporto tra volume e superficie.
Posta questa premessa consegue che, a parità di altre caratteristiche, più un animale è grosso meno è influenzato (rispetto ad uno più piccolo) dalle forze che agiscono sulla superficie. Al contrario invece è maggiormente influenzato dalle forze che agiscono sul volume, tra cui la forza di gravità.
Questo tipo di ragionamento si inserisce perfettamente in discussioni che riguardano le forme dei viventi, tra cui le dimensioni generalmente piccole degli animali che possono camminare sulle pareti o, ad esempio, la forma "tozza" di animali di grandi dimensioni tra cui gli elefanti. Si tratta dunque di una questione di efficienza dei corpi dei viventi soggetti alle forze fisiche che agiscono su di loro.
Ridefinito in questo modo il problema della grandezza D'Arcy Thompson concepisce dunque l'idea di scale di grandezza non relative ma assolute, in base a principi di efficienza meccanica. Queste scale definiscono anche dei limiti massimi e minimi nelle dimensioni, al di fuori dei quali, eventualmente, si parlerebbe per l'autore di "mostruosità"; si prenda ad esempio l'albero: questo non deve mai superare in altezza il suo momento flettente, ovvero l'altezza alla quale il suo fusto comincerebbe a ripiegarsi su se stesso.

Sino ad ora si è parlato di forma in termini molto generali, tuttavia D'Arcy Thompson entra molto più nel dettaglio, analizzando le forme degli organismi in base alle forze agenti relative non solo alle condizioni esterne, ma anche alle strutture interne. L'analisi qui parte dalla conformazione di numerosi microrganismi, la cui forma viene attribuita alla tensione superficiale, dovuta forze che sorgono dall'azione di una molecola su un'altra molecola. Egli nota che sono molto diffuse tra i microrganismi forme quali sfere, cilindri, onduloidi e nodoidi10. Si tratta a suo avviso tutt'altro che di un caso: sono forme che riducono all'area minima la superficie, dunque coerenti con quella che D'Arcy Thompson chiama equazione di equilibrio, in base alla quale una lamina liquida in equilibrio assume la forma che le permette di avere la superficie minima rispetto alle condizioni a cui è soggetta (ovvero, oltre ad un eventuale margine perimetrale, la pressione esercitata dall'esterno sulla lamina, nonché dalla lamina stessa ma diretta all'interno, perpendicolare alla superficie).

Estrema importanza ha anche lo studio dei limiti dell'equilibrio con le sue conseguenze; le forme viventi vengono paragonate ai vetri soffiati di Murano, in cui l'arte del soffiatore attraverso pressioni costanti ed uniformi esercitate su una parete plastica chiusa plasma la materia. Bisogna ricordare in proposito che, ad eccezione della sfera e del piano, le altre superfici sono in equilibrio solo entro certi limiti dimensionali.
Si pensi al cilindro che, eventualmente, si può costituire stendendo una bolla tra due anelli: questo può essere lungo sino a tre volte il suo diametro, mentre se gli anelli vengono allontanati di più, la forma comincia ad alterarsi. Si restringe nel mezzo, passando alla forma onduloide, e la deformazione aumenta sino a che il cilindro si spezza in due, andando a formare due porzioni di sfera.
Il limite teorico di stabilità si ha quando il cilindro è lungo quanto la sua circonferenza, o quando il rapporto della lunghezza con il diametro è rappresentato da π; all'atto pratico d'altra parte però fattori quali la viscosità e l'inerzia giocano ruoli fondamentali, come dimostra ad esempio la ragnatela, il cui filo è particolarmente viscoso e si indurisce con rapidità senza frammentarsi. Un'altra ghiandola dei ragni però produce un liquido più fluido che viene depositato sui fili più bassi e trasversali. Questo bagna il filamento distribuendosi su di esso come una lamina uniforme, un cilindro liquido che come tale ha i suoi limiti di stabilità e tende pertanto ad interrompersi in punti distanti tra loro secondo il procedimento usuale, lasciando una catena di gocce sferiche a intervalli regolari lungo il filo.
Altro esempio convincente di questo fenomeno è lo "splash" generato da un oggetto lanciato nell'acqua, fenomeno in cui si può osservare dapprima la formazione di un cratere, dal quale subito si solleva una coppa laminare d'acqua il cui bordo tende a manifestare alternativamente dei solchi e delle sporgenze; i lobi che si proiettano al di fuori di esse tendono poi a rompersi in una serie di goccioline.
Molti organismi microscopici a forma di coppa, quali gli Idroidi o le Vorticelle, presentano una formazione simile alla fase iniziale dello "splash", e per D'Arcy Thompson è nelle leggi fisiche che regolano questa dinamica che si deve ricercare la loro genesi, così come - altro esempio – la forma ed i filamenti delle meduse vengono assimilati all'inchiostro che cade nell'acqua.
Un esempio più dettagliato è fornito dallo scheletro dei radiolari, spiegato mediante la tensione superficiale e le forze di assorbimento. La base di riferimento sono gli studi di Plateau, secondo il quale un sistema di bolle di sapone (o di lamine) attaccate ad un supporto di fil di ferro, è costituito da superfici piane o curve che si intersecano secondo linee di curvatura regolare, che si possono incontrare in due modi: o tre superfici che si incontrano lungo una linea (dando luogo ad angoli di 120°), o sei superfici che danno luogo a quattro curve, che si incontrano in un vertice (dando luogo ad angoli di 109°28'). D'Arcy Thompson osserva quindi che la forma degli scheletri di alcuni radiolari assomiglia alla geometria delle lamine di sapone, e nota che il loro corpo è costituito da una massa di protoplasma schiumoso, composto da strutture a forma di bolle (alveoli) riempite di un fluido la cui composizione non è molto diversa da quella dell'acqua di mare.

I vacuoli possono presentarsi più o meno isolati e sferici, oppure possono essere uniti insieme in una schiuma di cellule poliedriche; in questo ultimo caso tendono ad avere dimensioni uguali ed il reticolo poligonale risultante è regolare. Le forme dei radiolari dunque vengono ricondotte alle forze di tensione superficiale appena viste in proposito dei vacuoli, in base all'ipotesi che il fluido contenuto nella schiuma si accumuli prevalentemente nei punti di intersezione delle superfici formando un intricato scheletro prodotto dalla precipitazione della silice che segue le regole di minimizzazione dell'area e le cui pareti dunque si incontrano seguendo le regole di Plateau, che avevamo già visto all'opera nel contesto delle cellette delle api.

In realtà questo sistema così descritto può riempire senza lasciare alcun vuoto una superficie piana, ma non costituire un volume. In effetti lo scheletro ipotizzato da D'Arcy Thompson non esiste in natura: non tutte le figure sono esagoni regolari. La cosa non sconcerta comunque l'autore della teoria, che guarda fiducioso alla difficoltà di una descrizione completa interpretandola semplicemente come un mistero stimolante per la mente scientifica.

Effettivamente, se questo procedere per analogie è certo affascinante, e D'Arcy Thompson porta avanti questo percorso con grande varietà di esempi e minuzia di dettagli, tuttavia mancano determinazioni di rilevanza conclusiva. Non supera mai la descrizione di questo "mondo senza tempo"11, in cui dimensione evolutiva e fisiologica sembrano sospese. Manca è una qualche sorta di "prova", una spiegazione ulteriore. L'analogia d'altronde è qui utilizzata con valenza euristica, e sotto questo profilo non è necessario verificare se sia vera o falsa.



6 – L'AVVENIRE DELL'ESTETICA

Conclusa questa sintesi del pensiero di D'Arcy Thompson ed analizzato per sommi capi il suo metodo operativo, è il caso ora di introdurre le teorie estetiche di riferimento, da cui poi si potranno trarre le debite conclusioni.

Il riferimento questa volta è Étienne Souriau12, filosofo e punto di riferimento della scuola estetica francese.
Nato a Lille nel 1892 (e morto a parigi nel 1979), dopo gli studi alla Normale di Parigi, si è laureato in lettere nel 1925. Direttore della "Revue d'esthétique", ha pubblicato diverse opere sul tema. Tra queste la più importante è "L'avvenire dell'estetica"13, in cui per la prima volta il suo pensiero è espresso in modo compiuto.
La riflessione di Souriau14 è, prima ancora che estetica, filosofica, poiché prende le mosse non dall'arte, ma dalla ricerca di una verità, la verità dell'Essere. Anch'egli, come D'Arcy Thompson, si presenta come pensatore "inattuale": il suo vocabolario è tratto direttamente dai classici e non fa alcun riferimento al dibattito a lui contemporaneo, nel quale anche successivamente si rifiuterà di introdursi. Tuttavia la sua ricerca non sarà priva di conseguenze sulla fenomenologia francese.
Nella sua opera il pensiero è visto come un cominciamento assoluto che pone la realtà e l'uomo; al "cogito ergo sum" contrappone un "pensiero pensante", che è a monte della realtà e che la pone in essere. L'uomo è dunque al servizio del pensiero, che è a sua volta al servizio dell'Essere, il quale si manifesta, "semplicemente", nella forma concreta che la realtà manifesta.
Si tratta dunque di un pensiero "terrestre", ben diverso dalle essenze platoniche. È nel mondo sensibile che si trovano le forme, ed il pensiero è un mediatore tra queste e la materia che le compone; solo nel mondo sensibile si ha la pienezza dell'Essere. Non è dunque l'io che genera i pensieri singolari, ma sono questi che lo generano, lo alimentano e lo modificano. Il fenomeno dunque altro non è che l'essere che manifesta la sua presenza spirituale ed incita il mondo a creargli un mondo di esistenza o riflettere questa presenza.
Si distinguono dunque un'esistenza attuale e data, ed un'esistenza instaurata, in qualche modo "inventata". Il primo livello di esistenza, detto aseità, è spiegabile con l'istanza eleatica "l'essere è". Il secondo grado, "plurimodale", deve necessariamente riferirsi al primo, che a sua volta però ha bisogno di questo per realizzarsi in piena esistenza terrestre.
Tutte le forme hanno la caratteristica di essere obiettive, ovvero di rappresentare un permanere, un punto fermo sempre ritrovabile nel processo del divenire. Tuttavia queste forme obiettive ("stilizzate") che rappresentano il pensiero puro della ragione trovano la loro necessaria mediazione andando a costituirsi nella materialità, caratterizzandosi per una specificità sostanziale.

Questo processo instaurativo porta a compimento il senso del mondo, ed è al suo interno che si inserisce la riflessione sull'opera d'arte.
Risulta evidente dunque che per Souriau l'arte dev'essere studiata come risultato di un processo di "fabbricazione", e come tale non dev'essere qualificata in base all'idea di "Bello", che, deve si vivificare la ricerca estetica, ma non può esserne l'oggetto.

L'instaurazione è il procedimento che mira alla promozione di un'opera (o, in generale, di una forma), che esiste con una propria realtà indipendente da chi la instaura. E' un procedimento attraverso il quale l'uomo crea (o quantomeno scopre ed attualizza) certi morfemi preesistenti, compie ciò che la natura ha abbozzato. Dunque è questo procedimento di instaurazione del pensiero che governa sia l'uomo (e, nello specifico, l'artista), sia di conseguenza il manifestarsi delle opere d'arte stesse; la forma infatti si libera dall'artista come qualcosa di unico ed individuale, a lui indipendente. Molto importante per Souriau è sottolineare appunto che vi è una esistenza "virtuale" della forma, che precede la creazione artistica. L'instaurazione è un passaggio dal reale al concreto, da un opera "da fare" ad un'opera "fatta". L'artista non è demiurgo ispirato ma lavoratore che, nel corso del processo creativo, risponde alle domande che l'opera pone nel suo farsi, viene da essa sfruttato.

Se l'arte segue il processo instaurativo, l'artista è uno soggetto alla cui coscienza la forma si manifesta e reclama un livello di esistenza più piena; l'estetica deve dunque essere conoscenza scientifica di quelle forme. L'avvenire dell'estetica è infatti tramutarsi in un sostegno teorico del processo instaurativo, capace di studiare la dialettica alla base dei processi e delle categorie fondamentali del mondo dell'arte, di cui deve arrivare a comprendere gli aspetti costruttivi. Il bello non è causa dell'arte, ne è solo un effetto, e, malgrado abbia la sua importanza, fa parte di un "ritorno riflessivo" verso l'opera che non è in grado di definire l'instaurazione. Ogni opera d'arte porta in se anche un valore "affettivo", che costituisce l'oggetto-tema dell'opera, capace di suscitare vari sentimenti; altro è l'oggetto-cosa, la sua logica strutturale che nel suo rivelarsi è al contempo rivelatore dell'Essere di cui è espressione e di cui costituisce il cuore stesso, in quanto esprime una verità che si soddisfa da se, senza richiami o appoggi esterni.

L'estetica è tramutata dunque in una scienza che ha per oggetto le arti ed i loro materiali e come scopo teoretico il loro studio in forme concrete, al di la di ogni preoccupazione o apprezzamento qualitativo di valore. Lo studio scientifico di queste, che costituiscono il "sapere immanente" dell'arte, è diviso per Souriau in quattro parti, che corrispondono a quattro classi ben specificabili: estetica pitagorica, estetica dinamica, estetica skulogica e psicoestetica.
L'estetica pitagorica tratta delle forme ideali, in un certo senso matematiche o geometriche, operanti nei processi di instaurazione artistica; si riferisce in particolare alle loro armonie spaziali.
L'estetica dinamica studia invece le forme nei loro processi di dispiegamento spazio-temporale, quindi le forme successive che si presentano in movimento o in lunghezza di tempo (come nella musica).
L'estetica skeulogica tratta di tutto ciò che una forma è in grado di definire nell'universo concreto, la "forma che hanno le cose".
La psicoestetica è quell'ambito che studia le forme psichiche nella loro varietà tipologica. Quest'ultima classe pone la necessità di specificare, se non fosse parso chiaro, che, manifestandosi l'Essere nella forma, benché l'arte – che si giustifica da sé – sia l'espressione più pura dell'essere, esso si manifesta comunque nella forma "in generale". L'intero operato del pensieri, e quindi dell'uomo, è realizzazione dell'essere. Di conseguenza, cosa empiricamente evidente, l'intero operato dell'uomo concorre alla realizzazione della forma.

La ricerca estetica qui proposta è dunque profondamente interconnessa con la creazione artistica. Vi sono numerosi rapporti concreti tra questi due mondi, a partire dalla stessa presenza della filosofia nell'arte, a conferma del fatto che la filosofia non è isolabile, e che deve quindi,secondo Souriau, sforzarsi di mobilitare, riunire, esprimere tutta la situazione del pensiero in un unico momento in cui sono valide tutte le testimonianze umane. Essa ha una funzione formatrice e attiva, il potere di costruire una prospettiva per il futuro dell'uomo: lo slancio instaurativo avvolge la totalità dell'azione umana; come l'arte, e con l'arte, la filosofia dev'essere instaurativa.
Partendo dalla presa di coscienza del presente di tutta la totalità umana, deve cercare non soltanto l'impatto del nuovo, per il quale basterebbe l'arte, ma deve assumersi la responsabilità di una promozione totale che coordini il momento presente ed il momento futuro secondo una gerarchia.
Mentre l'arte progredisce con il continuo arricchimento della totalità delle opere, la filosofia non può procedere semplicemente in questo modo; essa esige dalla nuova instaurazione l'avanzamento della totalità del creato secondo un ordine non temporale, ma a cui il tempo sottostia, affinché il progresso sia progresso dell'uomo nella sua esistenza reale. La filosofia diventa così l'arte suprema.
Ovviamente questa nozione di arte non coincide con il campo tradizionale delle "belle arti", tuttavia questo approccio non dovrebbe suscitare scandalo. Già prima di lui Hegel aveva associato - seppur in termini completamente diversi - la filosofia all'arte con la sua teoria della "morte dell'arte" nella filosofia che ha esposto nell'Estetica. Inoltre alcune evoluzioni contemporanee hanno allargato a tal punto la nozione di arte che la concezione di Étienne Souriau appare oggi tutt'altro che scandalosa; si pensi a Joseph Kosuth, che con la sua arte concettuale talvolta sembra voler esattamente ribaltare la teoria Hegeliana15, "rimpiazzando" la filosofia con una "riflessione artistica". La sua influenza sull'arte degli ultimi decenni è stata di enorme portata, e d'altronde ha condotto alle estreme conseguenze un percorso che è partito da lontano (quantomeno da certe opere del Dadaismo, che Souriau presumibilmente ha visto nascere) e che ha influenzato profondamente le evoluzioni a lui successive, sino ad alcune espressioni della cosiddetta "arte relazionale"16 che si conciliano meglio con la "nuova estetica" del filosofo francese che con Impressionismo. Le "belle arti" conservano inoltre per Soriau un valore fondamentale, in quando emblema, quasi prova empirica si potrebbe dire, di quell'architettura che lui propone.

Alla luce di quanto detto sin ora si può ben capire come il filosofo veda la nozione di valore come un ostacolo in quanto inscindibile dal suo carattere soggettivo. La sua concezione di filosofia è un'esplicazione dell'Arte pura, definizione delle logiche sottostanti al processo instaurativo (e in quanto tale, la filosofia proposta coincide con l'estetica), si pone al di fuori delle logiche del Bello. Non bisogna comunque commettere l'errore di considerare "L'Avenire dell'estetica" come un testo dal carattere "spiritualista". Non che non sia evidente un approccio simile, ma la "nuova estetica" è la scienza che studia la genesi di forme artistiche concrete, e le studia con un approccio spiccatamente positivista ben lontano dallo studio dell'Assoluto hegeliano.



7 – MORFOLOGIA ED ESTETICA

Esposto il pensiero di Étienne Souriau, così come presentato ne "L'avenir de l'esthétique", appaiono più che palesi i punti di contatto con D'Arcy Thompson, il quale dal canto suo sembra rivelare un vero e proprio ideale estetico, basato su semplicità e bellezza matematica; secondo Gould "è a Pitagora e più tardi al Platone del Timeo che D'Arcy Thompson deve la sua intuizione; poiché egli tentò, come fece Bertrand Russel, di afferrare la forza pitagorica mediante la quale il numero domina sul continuo mutamento. D'Arcy Thompson non accettò né la dottrina di Pitagora, per la quale le cose sono numeri, né l'intuizione di Platone di un regno di numeri ideali esistenti oltre i corpi fisici, che non sono altro che le loro rappresentazioni fugaci e imperfette. Ma egli condivise le loro posizioni generali e cioè che le soluzioni dei misteri del mondo dovrebbero essere cercate nell'aspetto geometrico del numero e che la semplicità, la regolarità, la simmetria, l'armonia e la verità si troverebbero unite" 17.
Un tale supposto ideale estetico è ovviamente quanto di più lontano ci sia da un'estetica intesa come "teoria della sensibilità": l'aspetto qualitativo vine del tutto cancellato in favore del rigore matematico. Laddove però l'estetica viene definita, come abbiamo visto, "scienza delle forme", le cose cambiano. Tale approccio all'estetica si può scomporre in due proposizioni:
"1) Tra tutte le speculazioni proprie della filosofia dell'arte, hanno valore scientifico solo quelle (per quanto possa essere interessante il resto) che riguardano il mero studio positivo della forma;
2) In qualunque ordine di problemi scientifici, ogni speculazione relativa alla forma è di natura estetica"18
La seconda preposizione, così formulata, palesa la rilevanza nell'ambito dell'estetica delle ricerche thompsoniane. Lo stesso Souriau non ha mancato di citare nella sua opera D'Arcy Thompson tra quei biologi che, anticipando le sue riflessioni, hanno sentito l'esigenza di una profonda ricerca sul mondo delle forme.
Se riprendiamo la definizione "operativa" di questa nuova estetica, ci rendiamo conto del fatto che, ad esclusione della psicoestetica, "Gli enigmi della forma" si presenta in questo settore come una ricerca a tutto campo, benché non prenda le mosse da manifestazioni artistiche. D'Altro canto l'estetica secondo Souriau, in quanto sostegno teorico al processo instaurativo, non deve necessariamente prendere le mosse dall'instaurazione artistica, e può svolgere la sua funzione anche prendendo le mosse dalla morfologia animale.
Inserito in questo contesto D'Arcy Thompson appare come il prototipo del nuovo estetologo, "può essere effettivamente ritenuto il fondatore dell'estetica quale nuova scienza, sebbene Souriau non lo riconosca in quanto tale"19. É scritto infatti ne "L'avenir de l'esthétique": "è biologico dire che la stella di mare ha cinque ambulacri, per indicare che essa condivide la presenza dell' "indice" cinque con l'oluturia, classe degli echinodermi dello stesso ceppo, i cui ambulacri sono in fila disposti irregolarmente, tre e due (trivium e bivium). É estetico mostrare, con questo numero, la parentela della sua forma con quella delle figure che si costituiscono prendendo per base il pentagono regolare; o con certi fiori con cinque lunghi petali. Gli accostamenti puramente formali di esseri molto diversi materialmente (cioè mediante le affinità genetiche o le componenti eziologiche) sono uno dei punti di questo ramo dell'estetica."20
Non è forse esattamente quello che fa D'Arcy Thompson nella sua opera? Pochi sono stati convinti come lui della necessità di perseguire questa strada.
In conclusione, si può affermare che Étienne Souriau nobilita D'Arcy Thompson e la sua ricerca sulla forma, totalmente e devotamente basata sul rigore matematico-geometrico, elevandola al livello di ricerca estetica. E, si badi bene, non estetica come indagine del bello, ma estetica come attività instauratrice, identificabile con l'arte stessa. La ricerca matematica diventa arte, arte tra l'altro "suprema".

P.F.




BIBLIOGRAFIA

D'Arcy W. Thompson, Crescita e forma, Bollati Boringhieri, Torino 1992

Maddalena Mazzocut-Mis, Gli enigmi della forma, Ed. Dell'Arco, 1995

Stephen J. Gould, Anche gli alberi non crescono fino in cielo, Mondadori, 1999

http://www.filosofico.net/634yusdfnlcoojerhiui2734kedwqw2343r3rrffsdfdsf.htm

http://en.wikipedia.org/wiki/D'Arcy_Wentworth_Thompson

http://fr.wikipedia.org/wiki/Etienne_Souriau

ARCHIVIO V: (ARTICOLO) LA DESTRA, LA CHIESA


mercoledì, luglio 09, 2008


Scritto per: "L'Urlo" - il periodico du ULD


LA DESTRA, LA CHIESA


Il tema della laicità dello stato è sicuramente uno dei più scottanti di questi tempi. Sto parlando di un principio universalmente riconosciuto, ma evidentemente non adeguatamente sviscerato dal momento che, intoccabile come significante, risulta sempre più ambiguo sotto il profilo del significato. Si passa da chi, sulla scia della tradizione liberale, ritiene che quest'idea di laicità abbia dei contenuti precisi (penso ad esempio ai Radicali, recentemente ribattezzati "laicisti"), a chi ritiene che significhi semplicemente che le cariche ecclesiastiche non debbano essere cariche politiche, e, salvo questo riferimento, uno stato è laico sostanzialmente a prescindere dalle leggi che il governo emana. Interessantissimo è stato sotto questo profilo il convegno "Religione e Democrazia" dell'associazione Italianieuropei, il cui presidente – a noi tutti noto per ben altri motivi – Massimo D'Alema ha (inaspettatamente...) espresso un'opinione molto chiara: secondo l'ex leader dei DS, un patto di potere tra la destra e la religione cattolica sarebbe un'alleanza che mette a rischio i fondamenti dello stato laico e minaccia la Chiesa stessa. Perché la tentazione del potere è demoniaca e sempre, nella storia della Chiesa, è stata all'origine di misfatti, di cui Giovanni Paolo II ha dovuto chiedere perdono.

Al di la di questi passaggi particolarmente "forti" che ne sono stati estrapolati, il carattere pacifico, assolutamente non anticlericale e più che sensato del suo intervento (e delle successive spiegazioni), ha contenuto notevolmente le polemiche. Nessuna spaccatura nel PD e nessuna roboante dichiarazione opportunista da destra, dalle cronache non risultano nemmeno irritazioni ai vertici della Chiesa... si può dire che il teatrino politico è stato evitato ed ha lasciato il posto ad un paio di editoriali.

Merito evidente di D'Alema è stato l'aver esplicitato ciò che è ovvio: esiste un rapporto particolare tra destra e Chiesa. Questo non significa che la Chiesa sia di destra, o che la destra sia cristiana. In realtà definire questo rapporto è tutt'altro che semplice, e non è del tutto possibile. La Chiesa non prende accordi politici, e non dà indicazioni esplicite di voto. Certo perché questo rientra nella concezione di rispetto della laicità dello stato vigente nell'Istituzione, ma anche, e forse soprattutto, perché questa non è un monolite e si esprime con diverse voci. Voci che ruotano intorno ad un'unica sostanza e ad un nucleo fondamentale, ma che si alternano, cambiano, vivono contingenze specifiche e diversificate, hanno diverse priorità sotto gli occhi. D'altronde la Chiesa ha un vertice, (che, anche se non è dato saperlo, potrebbe avere idee politiche molto precise) ma non coincide con esso: è "ekklēsia", l'assemblea dei convocati, i chiamati. Ovviamente questi chiamati possono avere sensibilità e percezioni diverse, tutte Cristiane, tutte (laddove sono oneste e sono tali) parimenti dignitose e rappresentative dell'Istituzione, tant'è che - ormai è assodato - non esiste partito che non veda cattolici tra le sue fila, e non mi sembra che la cosa susciti scandalo.

Dove nasce dunque il rapporto particolare tra destra e Chiesa? Nella tradizione forse? D'altronde ha prevalso a lungo una sinistra estremamente anticlericale... fa bene comunque D'Alema a ricordare che una cosa è la coincidenza contingente di opinioni, un'altra è il "patto di potere", che rischia di tramutarsi in complicità nei confronti di terribili misfatti. Ma questa suppongo non sia una novità per nessuno, men che meno per la Chiesa stessa che dichiara infatti di voler agire "sulla" politica, e non "nella" politica.

Personalmente però rifiuto di credere che la tradizione possa più di tanto. Quantomeno dev'essere supportata da qualcosa di presente, e questo qualcosa verrebbe da pensare che altro non possa essere se non una maggiore sintonia tra Chiesa e idee dei partiti di destra. Nulla di più semplice.... ma è vero?

Da cristiano di sinistra non lo penso affatto.. eppure l'associazione mentale destra-Chiesa viene quasi istintiva anche a chi non ci crede. Un po' come l'associazione barba-Gillette..

L'autodefinirsi "difensori dei valori cristiani" si dimostra dunque un procedimento molto efficace. Fatto questo, ai partiti della destra italiana basta poi andare dietro al Papa su questioni poco lucrose ma vistose come i PACS, senza poi seguirlo (tralasciando in questa sede le più-che-dubbie vite private di certi soggetti...) su terreni più spinosi per chi maneggia soldi e potere come una politica economica realmente pensata per sostenere le classi deboli, il rifiuto della guerra, la prevenzione degli odi sociali e razziali (o quantomeno la non-incitazione, evitare di cavalcarli come fossero venti neutri) ecc.. tanto, proprio in virtù della dimensione finanziaria di queste problematiche è abbastanza facile deresponsabilizzarsi e far finta – contro ogni evidenza - che si tratti di "cause di forza maggiore". Non importa se poi "qualcuno" dà l'impressione di rifiutare i PACS più per disprezzo e omofobia che per attenzione alla famiglia, o se la "fede" talvolta sia trasfigurata da "alcuni" in strumento di anti-cristiana offesa razzista.. l'importante è che la comunicazione funzioni, che il partito sia associato al Cristianesimo. Esattamente l'esatto opposto di quanto tendono a fare la maggior parte dei leader di sinistra, che di temi cristiani ne sollevano molti, ma a nome del partito, e non millantano "ispirazioni divine" quando fa comodo.

Magistrale sotto questo profilo è la Lega, che alla Chiesa ha addirittura preteso più volte di dar lezioni. E non lezioni di politica... Pochi giorni dopo che Salvini ha verbalmente aggredito Tettamanzi perché ha voluto allentare la morsa d'odio sui Rom, il "difensore dei valori cristiani" Calderoli anziché richiamarlo all'ordine in un'intervista si è mostrato arrabbiato perché "Cosa vuole... assistiamo alla fine del cattocomunismo... Sono gli ultimi lasciti del '68. [...]. Tra i parroci ora è finita, ma nelle gerarchie superiori ancora ce n'è traccia", "a Milano ne abbiamo avuto per anni il maggior campione (il cardinal Martini?). È incredibile che uomini di chiesa si facciano portatori di relativismo. Mentre questo Papa è tornato a parlare dei valori veri della chiesa, con forza e vigore".

Cosa può aver suscitato tanta indignazione nel Ministro alla Delegificazione? Semplice: la Diocesi di Padova ha "osato"- in vista del referendum sulla costruzione della moschea – far notare molto cristianamente che la moschea (poste le necessarie precauzioni) è un'occasione per i padovani di "imparare a vivere insieme, pur nella diversità. Essa può favorire il clima di concordia. Per superare paura e allarmismo."

Tralasciando il ribrezzo che mi fa sentire un uomo come Calderoli far la predica ad un Uomo come Martini, non posso che arrivare alla conclusione che in realtà, oggi come oggi, il "rapporto speciale" tra destra e Chiesa, tra la destra ed i chiamati, altro non è che una questione di marketing, di comunicazione efficace favorita da un certo tipo di tradizione e da un'ipocrisia eccezionale.



P.F.

ARCHIVIO IV: (articolo) V3 Day: questa volta è per te, Grillo.


sabato, maggio 03, 2008

Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD

V3 Day: questa volta è per te, Grillo.


"Ieri è stata una grande giornata. Tutti i giornali hanno denigrato il V2-day: dall'Unità, alla Repubblica, dal Giornale a Panorama. I topi di fogna stanno uscendo dalla nave. Ripeto: i topi di fogna stanno uscendo dalla nave.
Libera informazione in libero Stato. V2-day. V2-Day.

Riporto di seguito tutti i banchetti per le firme dei referendum"


Con queste entusiastiche parole Beppe Grillo commenta sull'ormai leggendario blog il "suo" 25 aprile. Un successo enorme, i numeri lo testimoniano.

"Referendum???" Non tutti lo sanno effettivamente: avidi, i mass media parlano il meno possibile di questa raccolta firme che può toccare i loro interessi. Stiamo parlando del referendum abrogativo per abolire l'ordine dei giornalisti, il finanziamento pubblico all'editoria e la legge Gasparri.

Temi importantissimi che dovrebbero starci molto a cuore: un ordine nato come garanzia di qualità ed etica professionale e degenerato in "barriera all'ingresso" per chi vuole con pochi mezzi fare informazione. Un finanziamento nato per garantire possibilità di espressione anche al di fuori dei poteri economici e degenerato in sterile giornalismo servile e, soprattutto, spreco di denaro pubblico. La legge Gasparri poi è l'infamia recente, la peggiore, nata esclusivamente per perpetrare il vigente monopolio televisivo.

Probabilmente siete ancora in tempo per firmare, ma... non sono sicuro ne valga la pena!


Sul sito di Grillo l'evento è sponsorizzato nel migliore dei modi. Date luoghi e orari sono segnalati con certosina precisione, tant'è che sono andato a firmare a botta sicura. Ma c'è una cosa che Grillo si dimentica di ricordare ai suoi fan: c'è una legge del 1970 in base alla quale, secondo l'interpretazione prevalente, causa eccessiva vicinanza alle elezioni non è possibile, adesso, richiedere un referendum. Non entro nei dettagli, ma se così fosse queste firme sarebbero carta straccia, o, alla meglio (peggio?) pubblicità per il fenomeno mediatico genovese.


Ma com'è possibile??? Beppe Grillo. Quello che "sa sempre tutto", che lotta contro la disinformazione dei giornali, quello che scrive comunicati come quello di cui sopra, in cui sembra sia imminente la rivoluzione, che stia per "metterlo in culo al sistema". Com'è possibile che non abbia letto la legge corrispondente prima di chiedere un referendum?

Personalmente non me ne preoccupo. Errare è umano, e Grillo lo fa spesso. A cominciare dal fatto che l'idea che quei tre singoli quesiti referendari (che, faccio notare, non tolgono Mediaset a Berlusconi, la RAI al parlamento, il Corriere a Confindustria e via dicendo) possano risolvere come si deve il problema dell'informazione in Italia è semplicemente ridicola. In ogni caso comunque i fini sono nobili. Tanto basta.. forse. O forse no.


C'è una cosa che non mi va giù: la disinformazione. Non da uno che per fare il paladino della questione morale incita al rifiuto totale del sistema, contribuendo ad una oltremodo drastica sconfitta della sinistra tutta.

Perché il suo blog non informa anche del fatto che in tutta probabilità quelle firme sono inutili ed il v2 è solo un colpo di teatro? Non è un approfittarsi di cittadini che magari, com'è loro diritto, non lo apprezzano e non vogliono pubblicizzarlo facendogli fare numeri da record laddove poi questi non si materializzano nelle iniziative specifiche che lui ha promesso? Non è approfittare di chi, firmando o meno, avrebbe mostrato meno entusiasmo per l'evento? Non è, comunque ed in ogni caso, disinformazione?

Rinnegata la soluzione parlamentare, è giusto che si sappia che non è capace di proporre soluzioni di altro genere. Dovrebbe essere lui stesso a mettere in condizioni di capirlo; si tratta, appunto, di una "questione morale".

Ho cercato in www.beppegrillo.it Ho cercato tanto. Ho letto cose di ogni genere, tipo questa:

"Se i cittadini riprendono il controllo dei media la democrazia in Italia è ristabilita. Per questo siamo in marcia. E' primavera, aprite le finestre della vostra mente. Pensate, riscoprite il piacere di pensare da soli [...]Un giorno potrete dire io c'ero, tanto tempo fa, quando l'Italia era ancora un regime."

Eppure sull'annullabilità, tema tanto semplice quanto vitale, non ho letto nulla.

Nemmeno davanti ai banchetti - largo Cairoli - chi li organizzava mi ha saputo dire molto. Le risposte erano vaghe e trasversali. Alla faccia dell'informazione...

..ma alla fine sono riuscito a sapere. Ho sentito il parere di esperti: docenti di diritto, il presidente del comitato promotore del referendum (anche lui convinto che verrà annullato) e altri.

Peccato che, ironia della sorte, la fonte fosse proprio il sito di una radio di partito. Partito che - per chi avesse sospetti - aderisce alla raccolta firme, e con comprovata buonafede dal momento che ne ha promossi di del tutto simili quando ancora Grillo si aggirava per le TV sotto l'egida di Pippo Baudo facendo battute sulle abitudini degli stranieri.


Che dire.. a mio parere il "comico" ci fa proprio una magra figura. Ma non ha da temere: come ci insegna, in Italia nessuno si accorge di nulla.


P.F



http://www.radioradicale.it/referendum-grillo-le-firme-del-25-aprile-saranno-valide-le-interviste-ai-docenti-di-diritto


ARCHIVIO III: (articolo) Il Piano Solo



sabato, aprile 05, 2008

Storia dell’altro ieri: il Piano Solo

Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD

Storia dell'altro ieri: il Piano Solo

Conosciamo veramente la breve storia di questa Repubblica? Su che libri dobbiamo studiarla? Quanto bisogna andare a fondo per capirla? O forse manca proprio la dovuta distanza dai fenomeni?

Quella che vi apprestate a leggere è una breve sintesi, il più possibile libera da condizionamenti e lontana da interpretazioni politiche, di alcune ricerche sul Piano Solo, uno dei probabili tentati golpe italiani.

Perché il Piano Solo? Non si tratta di uno scoop, di un segreto per pochi. Non è certo un evento "vistoso" come una strage e nemmeno tra i vari "rovesciamenti" (progettati, organizzati o tentati, veri o presunti, neri bianchi o rossi) è forse il più clamoroso. Si tratta però - oltre che di un'occasione per ricordare, quanto sia intricata la storia del dopoguerra italiano - di uno spunto perfetto per tornare oggi a riflettere su come spesso nel teatro della politica sia più importante il retroscena.

Perché è importante capirlo? Certo non per riaprire diatribe tra partiti e "obiettivi" che, per quanto persino i vertici della nostra politica facciano finta di non capirlo, non esistono più. A parere di chi scrive poi, le "ambiguità" non possono certo delegittimare la partecipazione politica, tutt'altro.. ma è forse bene riflettere sulla qualità di questa, sulla necessità di approfondimento. Ma veniamo alla Storia...


Negli anni 60 CIA e NATO hanno organizzato una rete di uomini, centri di addestramento e depositi d'armi in tutta Europa. La funzione sarebbe stata quella di contrastare un'eventuale invasione dell'URSS. In Italia quest'organizzazione "stay behind" è stata chiamata chiamata Gladio. La sua esistenza, per decenni accennata confusamente (e non) da inchieste giornalistiche e inchieste giudiziarie di vario genere è stata ufficialmente confermata da Andreotti (otto volte ministro della difesa) nel '91, ed in seguito si scopriranno tutte le altre; nessuno stato, nemmeno la Svizzera mancherà all'appello.

Nel '52 è stato stipulato il "piano Demagnetize", accordo tra il SIFAR (servizi segreti delle forze armate, guidati da De Lorenzo) e la CIA. Lo scopo era contrastare il "successo" del comunismo in Italia. I contenuti non sono ad oggi chiari: può essere che rientri nelle semplici questioni di supporto propagandistico e finanziamento alla DC ormai ammesse con orgoglio dai vecchi vertici dell'agenzia americana, può essere invece che sia legato a varie questioni ambigue che sembrano coinvolgere lo "stay behind" italiano.

E' in questo contesto che si inserisce il Piano Solo. Si trattava di un progetto (di comprovata esistenza) finalizzato all'assunzione del controllo dello stato attraverso l'occupazione dei suoi centri nevralgici (e la reclusione di personaggi "pericolosi", tra cui esponenti politici, sindacalisti ecc.. nel Centro Addestramenti Guastatori di Poglina, un'isolata base militare in Sardegna) da parte dell'Arma dei Carabinieri. In altre parole: un colpo di stato.

Per essere precisi ai tempi i piani d'emergenza non è che fossero una rarità, ed erano entro certi limiti una cosa legittima. Il problema sarebbe verificare quello che si intendeva per "emergenza" e chi doveva essere il beneficiario della "protezione", ma sono questioni spinose e variamente interpretabili che non affrontiamo qui direttamente. La semplice descrizione della tentata (o minacciata) attuazione del Piano Solo però può fornirne un'idea...

Per la parata del 2 Giugno del '64 sono giunte come di consueto le truppe dell'arma a Roma. Per motivi "logistici", De Lorenzo (diventato Comandante generale dei Carabinieri, ma rimasto in stretto contatto con il SIFAR) stabilì che vi si sarebbero fermate sino al mese successivo, mentre nei giorni successivi continuarono ad affluire corpi dei carabinieri …e così come le truppe sono arrivate, hanno cominciato a defluire circa un mese dopo. Questo è quanto possiamo dire con certezza assoluta. Solo questo. Sulla questione è stato apposto il consueto segreto di stato, rimosso all'inizio degli anni '90, ma già da tempo diverse inchieste avevano carattere di evidenza. Tralasciamo in questa sede - per tristi motivi di spazio - la cronaca dettagliata di quei giorni (che il lettore potrà facilmente reperire) e concentriamoci sull'analisi del contesto politico, caratterizzato dal contrasto aperto tra il Presidente della Repubblica Segni – esponente dell'ala più conservatrice della DC - e Aldo Moro, che, di concerto con il PSI di Nenni a cui aveva aperto le porte del governo stava avviando una stagione di riforme di stampo progressista.

La cosa non avrebbe certo implicato la rivoluzione, ma – vicende straniere parlano chiaro - certo non era ben vista a Washington dove si controllava il nostro paese (che aveva il più grande partito comunista d'Europa) a vista e, com'è dimostrato, l'apertura di Kennedy a queste esperienze non era affatto condivisa dai vertici CIA.

Il governo Moro non sopravvisse al 26 Giugno e venne riformato in seguito a consultazioni in cui venne convocato, cosa ben anomala, De Lorenzo. Proprio in quei tristissimi giorni Nenni parlò di "rumor di sciabiole" - affermazione ormai rimasta nella storia - e nel successivo governo che si formò mise da parte gli entusiasmi riformatori.

Ricapitoliamo dunque quello che è ad oggi uno dei quadri più accreditati della situazione: Moro apre al PSI e ad una strategia di governo progressista, l'ala conservatrice della DC alza gli scudi, cinque mesi dopo si minaccia un probabile colpo di stato, in dieci giorni il governo Moro cade, alle consultazioni partecipa chi si ritiene abbia organizzato il colpo di stato (ed ha ancora le sue truppe a Roma), infine il governo si ricostituisce accantonando la linea riformista, positiva o negativa che fosse. E gli italiani di tutto questo vedono solo la facciata esterna...

Questa versione dei fatti è quella che traspare dalle conclusioni della Commissione d'inchiesta parlamentare Pellegrino di fine anni '90, nella quale tra l'altro si possono leggere alcune frasi tratte dal memoriale della prigionia di Moro: "Il tentativo di colpo di Stato nel '64 ebbe certo le caratteristiche esterne di un intervento militare [...] ma finì per utilizzare questa strumentazione militare essenzialmente per portare a termine una pesante interferenza politica rivolta a bloccare o almeno fortemente dimensionare la politica di centro sinistra".

Credo che per chiudere questa breve - purtroppo - sintesi sul Piano siano ottime...


P.F

ARCHIVIO II: (articolo) LA CADUTA DEL GOVERNO PRODI


martedì, marzo 04, 2008


Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD
...ispirato ad un blog precedente.

Rabbia, delusione ed opportunità:
LA CADUTA DEL GOVERNO PRODI
Analisi oziose e chiamata alle armi tra apatia, antipolitica, miraggi e cambiamenti verosimili


Oggi è il primo marzo 2008; al governo Prodi è stata negata la fiducia il 24 gennaio di quest'anno. Ce lo ricordiamo tutti vero? Non ne dubito.. è dunque inutile soffermarci sulla baraonda al Senato. Al limite è bene protestare contro il look (con tanto di occhiali da sole) dell'onorevole Nino Strano di Alleanza Nazionale. Si tratta di una macchia che sarà difficile rimuovere dall'immagine internazionale del nostro paese, ritenuto, forse ormai a torto, un paese in cui l'eleganza e lo stile hanno la loro parte. Per il resto nulla di eccessivo: spumante e mortadella, sputi e assalti al senatore Cusumano, mentre Strano gli urla "checca squallida".. insomma, quantomeno nulla di nuovo sotto il sole, anche se persino nel nostro amatissimo parlamento scene del genere sono rare e capaci di suscitare una qualche sorpresa. Ma non è al buongusto del lettore che mi voglio rivolgere e non perderò tempo dietro alla parola "sdegno".

Sull'aspetto folkloristico dell'evento non c'è molto altro da dire, ma, per fortuna o purtroppo, la caduta del governo ha anche un significato politico, ed è questo che andiamo ora ad indagare: cosa comporta la fine del governo Prodi?

Il punto di partenza per capirlo è forse chiedersi cos'è stato questo governo.

Innanzitutto è stato il più grande capolavoro della ex Casa Delle Libertà: una campagna elettorale tra le più grandiose che l'Italia ricordi, con un furore degno del '48 – anno in cui probabilmente l'immagine dell'URSS è stata evocata meno che nel 2006 - ha portato gli italiani intimoriti a votare in massa contro il pericolo bolscevico rappresentato dall'Unione, portandola ad un sostanziale pareggio con una Cdl sul cui operato è sin anche inutile esprimersi...

Non voglio dare la colpa di questo all'enorme potere mediatico del Silvio.. non perché non sia un problema oggettivo e tale da essere riconoscibile con una dose minima di buonsenso, ma perché se ne parla da talmente tanto tempo che mi annoierei da solo, io che ne sono convinto.. figurarsi chi ancora non crede sia un problema.

Umiliata e martoriata dall'imbarazzante risultato elettorale, l'Unione si è presentata come una creatura maldestra e sgangherata. Certo: ha governato oggettivamente sopra la media degli ultimi 25/30 anni (alla faccia del revisionismo su Craxi), con slanci di serietà al limite del fuori luogo in un mondo in cui è ormai consolidata la supremazia del populismo sul buonsenso.

E' stata messa mano in modo apprezzabile sui conti pubblici - cosa decisamente poco di moda nel nostro paese – attraverso un poco apprezzato (per quanto moderato, ma gli effetti di una "buona comunicazione" possono rendere balena un totano) aumento della pressione fiscale ed anche grazie a strategie assolutamente innovative di prevenzione dell'evasione, quali l'eliminazione del pagamento in contanti e ...i controlli.

Non si possono poi dimenticare i numerosi palliativi per problemi cruciali, quali una scuola superiore che consente al contempo un diploma e la totale immunità da qualsiasi forma di cultura, i numerosi vincoli al libero mercato ed obblighi per consumatori e lavoratori, gigantismo della spesa pubblica, pensioni minime indecenti, redditi minimi a livello di pura sussistenza, situazione carceraria non degna di un paese civile, l'assenza di tutela dei consumatori ecc.... insomma, certamente si sono poste le basi per una positiva esperienza di governo. A mancare purtroppo però è stata proprio la positiva esperienza di governo....

Lo sappiamo tutti: da che noi universitari ci ricordiamo qualcosa di politica le promesse che circolano sono ben altre, complice anche la maggiore competizione creata dal bipolarismo perfetto. Com'è evidente, questa competizione si verifica sia tra le due coalizioni sia all'interno delle coalizioni – con dinamiche varie tra cui lo "scarica barile" sotto elezioni – e quest'ultima tipologia ha raggiunto l'apice di "efficienza" nell'ultima legislatura da 13 partiti al governo, tant'è che il Pdl non ha bisogno di spendere molto nella campagna elettorale... glie l'hanno già fatta per due anni Rizzo, Diliberto, Mastella, Dini, Capezzone, Di Pietro e altri amici. Con la loro sindrome da dichiarazione di dissenso sotto questo profilo hanno raggiunto risultati d'eccezione: non c'è un italiano senza le palle girate, che abbia o meno una vaga idea di come funzioni la politica.

Forse siamo una generazione ottusa, ma a furia di sentire promesse molti di noi si sono convinti veramente che l'Italia debba avere governi capaci di fare ben altro che tirare a campare in modo dignitoso mentre i nodi peggiori vengono al pettine e le aspettative per il futuro crollano.

Proprio mentre lo sconforto dilaga e tra i giovanissimi fomentati da politici responsabili quali Borghezio, Prosperini ed altri torna l'attrazione per i manganelli del Duce (fenomeno affrontato con serietà e responsabilità da chi ha ruoli che lo richiedono, come Casini e Berlusconi che in momenti diversi hanno ricordato a questi giovani potenziali elettori che... "Italia agli Italiani"), ecco che senza farlo apposta ci capitano sotto mano i presupposti per un cambiamento epocale.

Gli illuminati e seri rappresentanti della Cdl, per fare un barbascherzo a Prodi, hanno caratterizzato questa legislatura con il mitico "porcellum": una legge elettorale che, se come da sondaggi avranno un 6% di vantaggio al senato, non gli garantirà (stando alle proiezioni) una maggioranza superiore agli 8 senatori, senza contare le incertezze sui sondaggi stessi e la proverbiale disobbedienza dei senatori a vita. Dall'altra parte poi è arrivato Veltroni che, pur avendo un'immagine personale tale che nemmeno la stampa di Forza Italia si sente di rivolgergli i consueti attacchi fulminanti, deve fare i conti con quella di un un partito talmente in crisi che gli conviene giocare il tutto e per tutto: "corro da solo!"... ed ecco che in tre settimane ci cambia sotto gli occhi tutto il panorama politico. E' forse questo il risultato più incredibile del governo Prodi!

Così, ad un mese e mezzo dalle elezioni siamo chiamati a votare non per il prossimo governo, bensì per quelli che saranno i "padri costituenti" di una Terza Repubblica... questo ovviamente se tutto va bene: se gli italiani daranno un minimo di fiducia a questa (o quella) sinistra e non cadranno in blocco tra le mani di una ex Cdl che con CINQUANTA senatori di vantaggio in cinque anni, probabilmente la più grande maggioranza dai tempi di De Gasperi, non è riuscita a cambiare veramente il paese (per fortuna, oserei dire, visti i soggetti e le intenzioni).

Come sarà? Scompariranno i piccoli partiti? Ci sarà il bipartitismo? Tornerà il proporzionale? Ci saranno sistemi che permettano a qualcuno di governare veramente? Si apriranno le porte al ritorno del grande-centro-pupulista? In definitiva, sarà la solita rivoluzione gattopardiana, sarà una tragica fesseria, o potremo smetterla di essere sempre gli ultimi d'Europa?

Forse ci siamo dunque: potrebbe essere la resa dei conti, e tra l'altro sembra candidarsi gente dalla biografia interessante. Immagino che il popolo di sinistra sia in fibrillazione...

...oddio! No! Mi dicono di no... mi dicono che un comico genovese ci ha convinti che siccome "è tutto un magna magna" votare non serve a nulla. Tanto vale lasciare che sia di nuovo affidato a Calderoli il compito di scrivere il nostro futuro. Bene! Amici di sinistra, che dire.. speriamo che le defezioni siano maggiori nei partiti che non-voto-io, così che non contino nulla.. magari con la prossima legge elettorale i partiti che alcuni di voi hanno votato di recente me li levano dalle balle per sempre. Quest'affermazione ad alcuni suona un po' lugubre? Non vi piace un'altra delle innumerevoli ipotesi verosimili per il futuro? Avete abbastanza fantasia e ve ne vengono in mente alcune che sono peggiori di quelle che considerate migliori, anche se persino queste vi fanno schifo? Che dovete fare per scongiurarle? Che ne so io... sono uno stupidissimo votante.


P.F.