lunedì 8 giugno 2009

IN ATTESA DI UNA SINISTRA CONCRETA...

.
.












Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD


Premetto una cosa: benché non sia "il mio partito dio riferimento", alle europee alla fine ho votato Sinistra e Libertà. Mi sarebbe piaciuto vedere questa lista superare il quorum ed auspico che non scompaia in Italia una sinistra in senso proprio. Inoltre il programma per l'Europa era ottimo, così come i candidati.


Questa nuova formazione ha suscitato in me grande interesse ed ho approfondito molto le loro proposte nella speranza di trovarci la novità che promettono, ma ne sono rimasto estremamente deluso.

Non me la prendo tanto per le snobistiche frasi di Vendola alla “che senso ha l'esistenza se non si conosce un quadro di Monet, o una poesia di Montale...”, che giustamente fan venir voglia alla classe operaia di votare Lega. Capisco quello che intendeva dire, e ci passo sopra. I problemi sono altri e sono più gravi.


Tanto per cominciare, uno dei termini che sentite pronunciare in maniera più sprezzante nei parti della“sinistra radicale” è Maastricht. Bene, ma cos'è Maastricht? E' un trattato che ha stabilito che l'Europa è capitalista e sfrutta i lavoratori per arricchire i banchieri? Nemmeno per sogno!

Maastricht è un trattato che ha stabilito due cose molto semplici: non si può spendere più di quel che si guadagna, e bisogna stare attenti all'inflazione.


Ancora in questa campagna elettorale Vendola ha rivendicato con orgoglio la rottura di Rifondazione del '98 con il governo Prodi perché, a quanto dice, “era fissato con la “teologia di Maastricht e del pareggio di bilancio”.

Negli anni ottanta lo stato Italiano spendeva più di quante fossero le entrate, e dunque si indebitava: si è formato così in gran parte il nostro famoso debito pubblico - 110% del PIL, ogni 100 euro di tasse 18 li spendiamo per pagarne gli interessi che ammontano a oltre 50 miliardi di euro all'anno (per capirci, gli assegni di disoccupazione per tutti sarebbero costati 10 miliardi, il ponte sullo stretto costerà meno di un miliardo all'anno, i tagli all'università sono nell'ordine di tre miliardi, e via dicendo...). Questo modo di spendere dello stato – per fortuna – Maastricht lo proibisce, così come impedisce di continuare ad essere il paese dove ad un certo punto si canta “se potessi avere mille lire al mese mi potrei comprare villa con piscina”, e pochi decenni dopo con mille lire ci si comprano due caramelle. Ci rendiamo conto di cosa ha significato questo per chi voleva mettere da parte qualche risparmio? E perché succedeva? Per tanti motivi; uno di questi è che lo stato - indebitato fino al collo - stampava più denaro affinché questo perdesse valore e dunque ripagare i debiti costasse di meno.

Perché dunque a sinistra c'è ostilità verso Maastricht? Semplice: se si vogliono rispettare i parametri di Maastricht bisogna essere seri. Se c'è un problema sociale (disoccupati, stipendi bassi, orari di lavoro eccessivi, affollamento negli ospedali e via dicendo) lo si deve affrontare veramente, nel rispetto del buonsenso, trovando soluzioni efficienti, realistiche, e talvolta magari innovative. Questo evidentemente non va giù a tutti e si rimpiange il vecchio sistema di intervento: i disoccupati assunti nella pubblica amministrazione a prescindere dal bisogno, altri soldi agli ospedali, orari di lavoro ridotti d'imperio (si puntava alle sei ore), lo stesso con l'aumento degli stipendi... ma chi paga i rispettivi aumenti di costi e le rispettive inefficienze?

Ad alta voce si dice di “tagliare spese militari, tassare rendite finanziarie, tassare i ricchi, lottare contro l'evasione fiscale”. Ma la verità è che se poi il sistema rimane un sistema di sprechi (ed addirittura l'inefficienza la si vuole aumentare), queste manovre non bastano, anche perché si andrebbe ad intaccare di molto la produttività.

Badate bene: io non sarei pregiudizialmente contrario nemmeno ad un modello filocubano: “tutti equamente poveri”, è un'ipotesi che ha la sua concretezza. Ma a sinistra invece molti vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, e ritengono che lo stato non si debba far problemi ad indebitarsi per far momentaneamente rimanere tutto com'è. Non riesco a capire da cosa derivi quest'atteggiamento - anche se ho le mie ipotesi, e sono poco lusinghiere - ma certo si tratta di una pericolosa irresponsabilità che, se attuata, qualcuno prima o poi dovrebbe pagare. D'altronde la somiglianza tra questo sistema e le recenti speculazioni finanziarie è enorme...


Vorrei chiarire che questo discorso non ha nulla a che fare con gli indebitamenti a cui stanno provvedendo tutti gli stati a fronte della crisi economica.. e che tra l'altro, proprio in forza del nostro gigantesco debito noi non ci possiamo permettere. Gli altri paesi infatti finita la tempesta torneranno nella normalità.


Altro problema è il precariato, problema gravissimo che certo va affrontato in qualche modo. Che quello selvaggio all'italiana della legge 30 vada eliminato è un dato di fatto, ma per fare cosa? La proposta a sinistra tende ad essere inquietantemente tranchant... “c'è il precariato?” “lo aboliamo!”.

Bene, ma lo sanno da quelle parti che c'è una proporzionalità diretta tra rigidità del lavoro e numero di disoccupati? E tra numero di occupati e stipendi, come capiva già Marx? Valutiamo uno scenario possibile: tutti i contratti di lavoro a tempo determinato vengono aboliti.

    Le aziende iniziano ad assumere molto di meno perché i costi unitari sono più alti e perché si tratta di un investimento meno reversibile; qualche azienda, dal momento che la scomparsa del precariato implica un aumento dei costi fissi, fallisce; tutte aumentano i prezzi di vendita riducendo il potere d'acquisto dei cittadini. Il numero di disoccupati dunque aumenta così come il costo della vita, ed è già di per se una tragedia; questo si aggiunge che i disoccupati vogliono lavorare, sono disposti ad essere pagati anche un tozzo di pane. Le imprese - che già si vedono la produttività ridotta e non brillano per solidarietà - se c'è qualcuno che lavora per un tozzo di pane non offrono certo di più: si abbassano gli stipendi, ed aumentano anche le persone talmente in crisi da essere disposte a lavorare in nero senza nessuna tutela.


Ora, vorrei essere chiaro: io ho disegnato solo uno scenario possibile, non una realtà di fatto dipinta con precisione. La verità è che ci sono un'infinità di variabili che influenzano il mercato del lavoro: si tratta infatti del nodo più problematico del nostro tempo. Non posso fare a meno di notare che i paesi più socialisti del mondo benestante – i paesi scandinavi – sono paesi dal lavoro flessibile. Si tratta dei paesi in cui le diseguaglianze sociali sono più basse al mondo e dove il potere d'acquisto del cittadino è più alto. Non dico necessariamente di copiare da loro, ma quando Vendola spiega – ed ha ragione – che il lavoro flessibile rende il lavoratore più ricattabile, deve però render conto anche delle altre mille variabili. Per poi magari proseguire sulla stessa strada, non sono pregiudizialmente contrario a nulla, ma non si può semplicemente eludere il problema.

Quando afferma che “il lavoro flessibile sarebbe bellissimo ma in una società che ha raggiunto la piena occupazione” dimostra di non aver proprio capito nulla della questione. Il lavoro flessibile in Europa non è stato introdotto da governi di destra e di sinistra (in modi migliori o peggiori) perché è divertente cambiare lavoro ogni tanto, decisamente non è quello il punto.


Personalmente credo ci sia un forte bisogno di un partito capace di mettere “gli ultimi” al centro dell'agenda politica, di liberare i cittadini dalla paura del futuro, dell'indigenza, dalla precarietà dell'esistenza. Credo ci sia bisogno insomma di un partito capace di realizzare gli slogan di Sinistra e Libertà. Ma questo compito non potrà essere affidato a chi vive in un mondo totalmente astratto.


P.F.

Nessun commento: