mercoledì 30 dicembre 2009

TUTTI I PARTITI DEI DEFICIENTI




15/11/2009

Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD


Se per caso a qualcuno fossero rimasti dei dubbi, abbiamo le conferme: la sinistra ama suicidarsi.
Tralasciamo qui le discutibili primarie PD e guardiamo al resto: mentre Di Pietro continua le sue campagne a testa bassa, Micromega gli fa le pulci in casa scavando nel torbido dell'IDV locale. Nulla di che, ma ad occhio e croce se le reazioni nei confronti di questi quattro accattoni non saranno efficaci l'inciampo potrebbe essere pesante. Cosa più curiosa è che Beppe Grillo, dopo essersi sperticato alle europee a sostegno di candidati dell'ex PM ed aver mancato il “colpo gobbo” nelle primarie PD, anziché eventualmente candidarsi o associarsi al partito di Di Pietro decide di creare il suo “Movimento di Liberazione Nazionale” e presentarsi alle regionali. Per il momento nulla di che, si presenterà solo in regioni saldamente (sarà vero?) in mano alla sinistra, ma la domanda è: cosa accadrà alle prossime politiche? Gli elettori dovranno dividersi tra l'IDV (verosimilmente alleato al PD e altri) ed un movimento kamikaze con un programma sostanzialmente uguale che corre da solo?
Le vere sorprese comunque arrivano come al solito da sinistra, dove da sempre gli elettori sono allietati da eleganti bizantinismi.
Ingoiata l'esclusione dal parlamento europeo a causa della polarizzazione Rifondazione-Comunisti Italiani e Sinistra e Libertà che poteva sembrare una “necessità storica” (un partito antisistema “di lotta”, ed uno “di governo”, pronto ad alleanze solide con il centrosinistra) , si è risolto tutto in una situazione che ha dell'imbarazzante.
I socialisti, da poco ribattezzatisi Partito Socialista Italiano (dichiaratamente in onore di Nenni e del compianto luminare del banditismo politico Craxi) benché fingano ancora interesse per il progetto SL da un lato temporeggiano sul congresso e dall'altro il segretario Nencini ha già incassato un accordo con il PD per le regionali in toscana: una poltrona in cambio dell'appoggio ad una legge elettorale regionale che azzoppa i suoi compagni di SL con uno sbarramento al 4%. Come al solito di elezione in elezione i socialisti vanno a caccia dell'alleato più comodo; bisogna solo chiedersi chi è che continua a votarli.
Nei Verdi, che invece sembravano convinti, al congresso è arrivato il ribaltone: a sorpresa Loredana De Petris è stata battuta da Angelo Bonelli. Le nuove parole d'ordine sono “fuori subito da SL, chi ha incarichi in SL o li lascia o lascia i Verdi, da oggi i Verdi non sono più un partito necessariamente di sinistra”. Vi tranquillizzo su un punto: non ci sono in cantiere alleanze con Berlusconi, ma certo è che la strada intrapresa dal sole che ride poco ha a che fare con Vendola e soci: autonomia programmatica, simpatia per Grillo, interesse per una riedizione dell'Ulivo e per gli ecologisti del PD, porte non chiuse ai Radicali, e non si escludono a livello locale alleanze anche trasversali alla sinistra.
SL in pratica rimane una federazione di fuoriusciti: dai DS, da Rifondazione, dai Comunisti Italiani. Vendola e Fava sono due nomi abbastanza noti intorno a cui il movimento potrebbe coagularsi, ma le possibilità di tenuta di questo corpuscolo ibrido sono tutte da discutere.
Inutile dire che Rifondazione ed i Comunisti italiani non accennano a riunificarsi, benché le differenze tra i due partiti non siano chiare a nessuno; dev'essere una sorta di gara a chi ce l'ha più lungo; in compenso i secondi ci hanno voluto regalare anche la scissione interna, con l'ex vicesegretario Rizzo neofondatore di Comunisti – Sinistra popolare, partito che minaccia (a detta di Rizzo...) di portarsi via sessanta sezioni PdCI e qualche consigliere regionale.
La situazione non è aiutata dal PCDL di Ferrando, partito trotzkista (letteralmente) che alla sua nascita sembrava un progetto velleitario, ma alle europee si è dimostrato un progetto velleitario dallo 0,5% - che in tempi di sbarramenti è un risultato ragguardevole in termini di danni ai partiti di quell'area.

Arrivati alla fine della carrellata non possiamo che fare i calcoli, e contiamo undici partiti di sinistra, di cui cinque di area “radicale”.
Certo, ci sarebbe la notizia dell'uscita di Rutelli e rutelliani dal PD a razionalizzare un minimo il quadro politico, non fosse che (per necessità, stupidità o corruttibilità della sinistra, questo non lo giudico) la linea del neosegretario PD - con sponde improbabili in Nichi Vendola - rischia di portare il centro nell'orbita di un sistema di alleanze.

A questo punto la domanda sorge spontanea: qualcuno vuole aggiungersi?

P.F.

FERRUCCIO DE BORTOLI, TRA POLEMICHE E DIFFICILI EQUILIBRISMI



28/10/2009


Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD

Come suppongo sia noto a tutti, si è appena consumato uno “scontro” tra i due uomini più influenti del giornalismo italiano: Ferruccio De Bortoli e Eugenio Scalfari.

Ferruccio De Bortoli è l'attuale direttore del Corriere della Sera, ed Eugenio Scalfari, benché ormai “ritirato”, è stato creatore di Repubblica, e ne è tutt'oggi ispiratore, punto di riferimento ed editorialista di punta.

Ferruccio De Bortoli è stato direttore del quotidiano di Via Solferino dal 1997 al 2003, anno in cui è stato di fatto costretto alle dimissioni per le eccessive pressioni del governo Berlusconi a cui era sgradito. E' rientrato in carica quest'anno, dopo che Mediobanca (a sua volta controllata da Berlusconi) è diventata primo azionista del gruppo editoriale del Corriere RCS e, a furia di rinforzare le posizioni, giusto quest'anno Marina Berlusconi è entrata nel consiglio d'amministrazione della controllante.

La cosa può sembrare strana: quando Berlusconi non è il suo capo diretto riesce a farlo fuori, quando è il suo capo diretto lo reintegra. La prima vicenda in realtà non ha nulla di strano: le recenti vicende di Anselmi e Mieli lo dimostrano.

Anselmi, dopo aver condotto da direttore de La Stampa una coraggiosa gestione non timorosa nel denunciare le mostruosità del governo è stato fatto fuori da un'azienda che non è proprietà di Berlusconi, ma che in questo momento vive grazie agli incentivi statali del governo. E' stato sostituito da Mario Calabresi (figlio di Luigi), autore di una gestione più timida ma comunque rispettabile e ricca di spunti interessanti, prova che non avere soggetti politici direttamente nel Cda, ma solo imprese legate alla politica, sarebbe già un passo avanti per la stampa italiana.

La vicenda di Mieli invece è più torbida. Direttore del Corriere dal 1992 al 1997, è stato richiamato dopo la dipartita di De Bortoli. Non è mai stato un Berlusconiano DOC, tutt'altro. Berlusconi non è in grado di nominare da solo i direttori in RCS, il cui azionariato comprende anche altri soggetti, tra i quali alle volte non mancano attriti (sono i soggetti presenti in quasi tutte le grandi aziende del paese che a loro volta sono in quasi tutti i giornali del paese, ovvero gli Agnelli, Ligresti, Passera, Benetton, Della Valle...).

Mieli rispondeva alle esigenze di tutti: totalmente prono al potere, gran cerchiobottista, ha accentuato la tendenza tradizionale del Corriere a non riportare mai una notizia. Il Corriere vive di opinioni, di dichiarazioni di un qualche notabile. Nessuno verifica se le dichiarazioni sono vere o se il notabile in questione ha un preciso interesse economico nell'affermare una data cosa. Quanto ai fatti, alle notizie vere e proprie, il lettore è disorientato e mal informato.

La cosa fa comodo ad una destra mostruosa che in qualunque paese normale verrebbe massacrata fatti alla mano dai cosiddetti quotidiani “di centro”, fa comodo ad una certa sinistra che se si dovesse veramente confrontare sui contenuti dovrebbe fare i conti con i propri scheletri nell'armadio, fa comodo a tutti gli azionisti e a tutte le lobby del paese, fa piacere agli inetti lettori italiani che confondono il cerchiobottismo con l'imparzialità.

Nel 2006, quando Berlusconi sembrava destinato a perdere le elezioni e la sua era sembrava finita, Mieli si è sbilanciato ed ha dato indicazione di voto per l'Unione. Dopo di che, ha continuato la sua linea. In quel periodo, pur cerchiobottista, il giornale era più propenso verso il nuovo governo, usandogli anche la cortesia di cacciare il giornalista Carlo Vulpio che seguendo le indagini di Why Not lanciava ombre sgradite a maggioranza e opposizione sul contesissimo Mastella. Con il tracollo dell'Unione e la crisi economica che ha reso tutti i suoi azionisti economicamente dipendenti dal nuovo governo Berlusconi, al direttore non è stato difficile cambiare linea: se i fatti non esistono, per dar peso ad altre opinioni ci vuole poco. Basta dar più spazio a soggetti come Sergio Romano, Ostellino, Panebianco, Galli Della Loggia, vecchie volpi agili nel fingersi indipendenti finché non si scovano menzogne e mezze verità, funzionali a lobby italiane e non solo che esistono da prima di Berlusconi ed esisteranno dopo.

Quando però al povero Mieli, preso dalla difficoltà di dare una parvenza di dignità ed imparzialità a quello che ormai era un foglio di carta igienica è scappato tra una chiacchiera e l'altra di dare una notizia di troppo, Berlusconi non dimentico dello schiaffo del 2006 ha messo la parola fine sulla sua carriera.

Ovviamente per il dopo Mieli Berlusconi puntava in alto; puntava a fare quello che sta facendo con la RAI: renderlo - attraverso la nomina di Carlo Rossella a direttore - totalmente organico al governo anche a costo di distruggerlo sotto il profilo delle vendite. A questo gioco al massacro però si sono opposti altri azionisti, ed ecco a sorpresa ritornare De Bortoli.

Cosa significa questo? Sicuramente si tratta di una mancata vittoria di Berlusconi. Evidentemente - e questa in un paese malato come il nostro è quasi una buona notizia - nonostante la crisi c'è qualcuno di potente che pensa anche al dopo Berlusconi (secondo indiscrezioni in modo particolare si è imposta Banca Intesa), ed in molti non se la sono sentita di distruggere definitivamente la credibilità dello storico quotidiano milanese che permette a tutti un'influenza sulla società con pochi pari e che è costato a tutti un sacco di soldi.

Non si può però parlare di sconfitta del premier, perché, pur non avendo fatto il colpo grosso, rispetto ai tempi di Mieli non è cambiato quasi nulla. La verità è nelle parole di De Bortoli ad Anno Zero, con riferimento a Berlusconi che accusava il giornale di essere di sinistra: “Il Corriere della Sera non appartiene a nessuno degli schieramenti che stanno dando vita ad una guerra civile mediatica [...] c'è una cosa fondamentale: noi rispettiamo anche la volontà degli elettori che hanno deciso di votare questa maggioranza”.

Di fatto, quanto ad opinionismo il giornale si è spostato fors'anche più a destra che ai tempi di Mieli, benché De Bortoli quando ci mette la sua firma scriva cose sensate, e, seppur in posizioni defilate, hanno cominciato talvolta ad apparire in quantità dignitosa notizie vere, forse sempre più spinte dalla “minaccia” di Padellaro e Travaglio di creare un giornale vero, da poco concretizzata tra l'altro. Ma guai che ci siano problemi se qualcuno dei suoi giornalisti di punta mente sapendo di mentire; guai che l'opinione di qualche notabile non paia disinteressata. Insomma, il Corriere rimane un foglio inutile.

Il “rispetto della volontà degli elettori” è immune da conseguenze derivanti dalla consapevolezza che questa volontà è figlia di un controllo sui media che non solo è illegittimo e contrario al buonsenso, ma anche illegale, figlio di tangenti, corruzione di giudici, leggi aggirate, sentenze europee ignorate.

Il “rispetto della volontà degli elettori” non è altro che ruotare intorno all'opinione prevalente, a prescindere da quale essa sia. Se c'è il bipolarismo si sta, circa, a metà.

Io non credo che De Bortoli sia in malafede nella sua direzione; credo invece che soffra di una malattia tutta italiana che ha ben sottolineato Ezio Mauro, direttore di Repubblica: il “conformismo difronte al potere”, o, più sinteticamente, il conformismo. Dice anche Ezio Mauro: “i giornali di tutta Europa, ed anche i grandi giornali americani, hanno nei confronti di questa partita tra il potere e la stampa in Italia lo stesso atteggiamento che ha Repubblica (stigmatizzato da De Bortoli, nda), è soltanto in Italia dove c'è un conformismo da parte della stampa nei confronti del potere che l'atteggiamento di Repubblica sembra eccentrico”.

Vorrei chiarire che non sto in alcun modo prendendo le difese di Scalfari. Non mi sono premurato di descrivere con il giusto disprezzo il Corriere della Sera per prendere le parti di Repubblica, che considero anche peggiore. Lo scambio di invettive è lungo ed articolato, e quasi tutte le bordate di De Bortoli vanno a segno, a partire dal fatto che Repubblica è un giornale di partito. Non solo, è un giornale garante di determinati equilibri del partito, come dimostra il trattamento scostante che ha subito Marino. E' un giornale prono al potere, come dimostra la capacità di fare quarantadue editoriali di principio se qualcuno nella Lega dice una provocazione, salvo poi mostrarsi reticente nello scavare nel torbido di tante losche faccende che rischiano di rivelarsi bipartisan, o di suggerire pericolose analogie con De Benedetti, o di dar indirettamente risalto ad alleati scomodi del PD.

Mi preme sottolineare invece la malattia di cui soffre De Bortoli con l'Italia tutta. Berlusconi non ha preso il potere con le armi. Berlusconi ha offerto soldi e potere a molti in cambio di obbedienza, e tutti sono accorsi. Opportunismo, e servilismo, grandi difetti italiani. Chi non è accorso, non ha voluto tenere alto lo scontro: i toni alti sono sconvenienti. “Estremista” è nel nostro paese chi urla a gran voce una verità non maggioritaria. E questo è conformismo, l'altro grande difetto nostrano.

E' così che è stato venduto il paese senza che nessuno se ne accorgesse.


P.F.