venerdì 27 febbraio 2009

PD: FUTURO INCERTO, TRA INDOLENZA E TENTAZIONI CENTRISTE




Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD


PD: FUTURO INCERTO, TRA INDOLENZA E TENTAZIONI CENTRISTE


Nel giudicare Franceschini non ho alcun pregiudizio, ed apprezzo l'azzeramento della segreteria come la promessa di decisioni autonome. Sarà ora possibile aspettarsi qualche presa di posizione forte? Sarà possibile un qualche atto di opposizione all'altezza della gravità della situazione (netto, che verta sui temi cruciali, coinvolga la società civile rintronata ed aggirata dai mass media nella diffusione della verità, e condotto mostrandosi credibili nella propria supposta diversità)?

Alla favola del PD come partito sostanzialmente uguale al PDL non ci ho mai creduto, ci sono politici onesti (a partire da Veltroni), ci sono uomini di spessore con idee importanti, ci sono molte biografie rispettabili. Il problema è che se queste risorse positive non emergono ma mediano con tutto ciò che è marcio non servono a nulla.

E se non mi sono dispiaciuti per lo più i primi passi di Franceschini, comunque sperare è bene, ma ci vuole realismo. Innanzitutto non bisogna dimenticare che difficilmente un personaggio messo dov'è dagli oligarchi potrà avere realmente il pugno duro con questi.

Bisogna poi assolutamente fare attenzione, ed è questa la cosa più importante, alla questione delle alleanze. Perché sia Veltroni che Franceschini hanno voluto ricordare che “non siamo giustizialisti”? Cosa significhi quella frase lo sappiamo tutti; con tutti i difetti (e le incompetenze) che può avere DiPietro, perché si sente una necessità trasversale di prendere nettamente le distanze dal suo partito? E' più grave qualche volta rischiare di suonare diffamanti, ineducati, qualunquisti, oppure rischiare di candidare il mafioso di turno e coprire parlamentari sotto inchiesta senza giustificato motivo, come capita al PD?

Ma ad inquietare almeno quanto la distanza da DiPietro, è la vicinanza all'UDC, ovvero ad un leader dalla bella faccia (e dal suocero potente), messo alla guida di quello che resta di un ramo spiccatamente affarista della destra DC.

Questa vicinanza non fa ben sperare, ed è un nodo cruciale per il futuro del partito: nell'impossibilità di essere maggioritario, o il PD accetta l'approccio della legalità, di rimanere a sinistra - anche a “costo” di perdere per strada qualche pezzo - e di proporre un'Italia radicalmente diversa (non solo più sfumata rispetto a quella attuale), oppure si mette al centro. Non sono accettabili “ma anche” in questo senso; se optassero per l'UDC non si potrebbe far finta di nulla. Ci vorrebbe un nuovo soggetto di centrosinistra, una alternativa vera, radicale, capace di rimpiazzare vecchie carcasse che decidessero, letteralmente, di vendere il paese. Voglio sperare che, dopo mesi di danni oggettivamente misurabili, la parte sana del PD non voglia per indolenza costringere l'Italia ad arrischiarsi in imprese del genere...


P.F.

martedì 24 febbraio 2009

BRITISH JOB FOR BRITISH WORKERS: DISCRIMINAZIONE LEGALIZZATA



Scritto per: "L'Urlo" - il periodico di ULD


BRITISH JOB FOR BRITISH WORKERS: DISCRIMINAZIONE LEGALIZZATA

Sono passati ormai mesi dalle proteste dei lavoratori di una raffineria di Lindsey in cui erano stati assunti dei tecnici italiani. Alla fine l'hanno spuntata: è stata garantita l'assunzione di tecnici inglesi, alla faccia di “questi italiani che ci rubano il lavoro”. I consensi del Partito Nazionale Britannico nel frattempo crescono in maniera esponenziale ed in diverse aree sta scavalcando il centrodestra.

Come reagisce a queste derive il governo laburista, ancora membro del partito socialista europeo?

Semplice: sono state approvate norme in base alle quali, a partire da questo aprile, i cittadini non-UE che vorranno andare a lavorare in Inghilterra dovranno avere almeno una laurea ed una qualifica post-laurea, nonché produrre un reddito superiore a 20.000 sterline annue.

Sia chiaro: in questi momenti di incertezza e crisi profonda non ritengo opportuno esprimere giudizi troppo netti sulle misure d'emergenza e le scelte che i governi stranieri stanno intraprendendo per cercare di affrontare le proprie problematiche.

L'Inghilterra tra l'altro è – fatta eccezione per quelli dell'est – il paese europeo più colpito dalla crisi: cuore finanziario d'Europa, paese in cui la vita in debito era entrata nel costume dei cittadini anche come riflesso di una politica economica spregiudicata, sembrava destinata a portare Londra sino in cielo, come fosse una moderna torre di Babele, e trasformarla nella città dove “tutto è possibile”. Per questo si è vista punire severamente già ai primi segni del terremoto.

Non mi dilungherò dunque in questa sede sulla scelta operata dal governo britannico. Quello su cui mi voglio soffermare invece è un altro provvedimento: a partire da aprile, non potrà essere concesso ad un cittadino straniero un lavoro laddove sarà possibile trovare un cittadino britannico con i requisiti richiesti.

E qui si va decisamente oltre. Qui non è questione che si possa giustificare con la volontà di tener stabile la situazione in un periodo turbolento, qui non si tratta di regole che, per quanto pesanti, sono uguali per tutti. Qui viene negato per il migrante il principio ed il diritto in base al quale il datore di lavoro assume il lavoratore migliore. Questa è discriminazione legalizzata.

Questa legge, messa a sistema con i fatti di Lindsey, dovrebbe farci riflettere tutti, perché qui i rischi sono superiori a quelli rappresentati dalle singole norme, non si può lasciare che la situazione degeneri o sfugga di mano.

Quello che la legge in questione rappresenta è il simbolo di un'Europa che sta smettendo di credere in un sogno: quello, dell'uguaglianza degli uomini. Perché se è vero che un paese ha diritto ad autoregolarsi in fatto di immigrazione, è anche vero che una volta superati gli ostacoli all'ingresso per gli emigranti il sogno è quello di inserirsi nella comunità di riferimento, non possono essere ridotti a mendicare briciole a prescindere dalle loro capacità e dal loro impegno. Senza dimenticare poi, etica a parte, che alla mancata capacità di integrazione corrisponde una pericolosa instabilità.

La deriva nazionalista e xenofoba che si sta diffondendo in Europa cavalca brutalmente le paure legate a questa crisi, paure che, come sempre accade quando si accompagnano all'ignoranza, facilmente portano a deviare verso le soluzioni meno razionali quali ad esempio una chiusura in se stessi che, certo, renderebbe meno soggetti a perturbazioni esterne, ma ovviamente alla lunga porterebbe come minimo ad un'economia costituzionalmente ed irrimediabilmente più limitata e povera.

Questa deriva sta creando un male su cui noi italiani, pur difesi per il momento dalla normativa UE, forse è ora che ci soffermiamo a riflettere: cosa potrebbe accadere a quelli di noi che, vuoi per l'alternarsi di governi ridicoli e mostruosi che stanno trasformando l'Italia in un paese non in grado di riconoscere le nostre capacità - e a breve probabilmente nemmeno troppo sicuro in termini di tenore di vita decente - vuoi per motivi meno “prosaici” come il seguire un partner conosciuto in erasmus o la passione per una particolare città, decidessero di lasciare nei prossimi anni lo stivale?

Lindsey getta un'ombra inquietante: in che condizioni umane si sarebbero trovati a lavorare, se assunti, quei tecnici italiani?

Non è solo la normativa a contare, ma il disprezzo, l'ostilità, il senso di inadeguatezza in mezzo ad un popolo che si sa essere in alta percentuale contrario alla propria presenza, al proprio accento, e, se riconoscibili, anche ai propri tratti somatici. La sensazione di non poter in nessun caso essere parte del mondo in cui si vive, solo ospiti.

Oggi è tutt'altro che raro sognare un futuro a Londra, Barcellona, Parigi, Berlino... ma queste città risulterebbero altrettanto attrattive se immaginate come ostili, limitanti, e fors'anche pericolose per l'italiano?

Questa crisi sta travolgendo la nostra economia, ma in nome di questo possiamo permettere che ci travolga anche come comunità umana?

Ora più che mai non possiamo dimenticarci che la crisi del '29 è stata una delle cause principali del nazismo, del diffondersi dei totalitarismi in Europa con il loro carico di morte e orrore insensato, della fine dei contatti internazionali, della chiusura delle economie e di una tensione verso il conflitto bellico, che ha coinvolto anche gli stati democratici ed ha portato all'esplosione della seconda guerra mondiale, la più grande carneficina che la storia ricordi. Ora più che mai non possiamo dimenticarci che a problemi gravi non devono corrispondere reazioni estreme, ma risposte intelligenti.


P.F.